Concerto di Diamanda Galas – Link – Bologna 13/10/00

Vedere Diamanda Galas di venerdì tredici solleticava quel maledettismo horror di seconda scelta che spesso accompagna le sue performances, almeno nella fantasia di quella parte di pubblico che la giudica, ma non la segue e nemmeno la ama. Ammirazione sì, quella c’è. Del resto come non restare allibiti di fronte a quelle quattro ottave di voce, ma allora se è tutto lì che vadano da Bocelli (uno che dichiara che il rock è solamente rumore… e le tue lagne, stupido cieco, cosa sono arte sopraffina?). No Diamanda Galas, anche se si dedica a diplofonie e triplofonie di stratosiana memoria e di stratos-ferica ispirazione, non è solo voce, ma anche corpo, mani, sguardi, mani che percuotono un piano, così come il suo furore percuote il vuoto dell’accademismo inutile. E’ musica stalinista la sua: o sei con lei, o sei contro di lei; poi con gli amici puoi fingere distacco e dire che è stato semplicemente bello o semplicemente orrendo, ma non c’è niente di semplice in quello che fa la Galas, arriva da lontano, troppo lontano e va lontano troppo lontano e quelli che chiacchieravano in prima fila durante lo show (ma si può chiamare show?) o quelli che parlavano al telefonino, forse per dire agli altri amici invidiosi o semplicemente ignari “ma tu non sai a che concerto sono io…” sono vicini troppo vicini a noi e li dobbiamo sopportare tutti i giorni. In pochi però si sono resi conto che nessuno ti tira fuori l’anima e te la scortica come Lei, anche solo (grazie al Link) ad un concerto (ma si può chiamare concerto?) di cinquanta minuti.
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/01

ELLIOT SMITH "Figure 8" - Dreamworks

Questo cantautore senza voglia d’esserlo si è affacciato alla ribalta in maniera molto tranquilla, con la sola voglia di scrivere e cantare canzoni, cosa peraltro naturale, ma che molti, vedi quelli nostrani che fanno pessimi comizi, oltre che inascoltabili canzoni, o pretendono l’appellativo di maestri, non hanno ancora ben chiara. Borges parlava dell’ironia di Dio, essendo lui cieco, ma anche direttore di una delle più grandi biblioteche del mondo e ciò ha sfiorato anche Smith, che con un nome ed un fare assai anonimo, è approdato ad una fama hollywoodiana partendo dal Nebraska (un paesone che dovrebbe dirvi qualcosa). Perché io? Si chiede Smith, ma Dio è ironico e ama la buona musica, anche se gradiva un’influenza meno beatlesiana (quei presuntuosi che dicevano di essere più popolari di lui…) nei brani. Qualcuno dice che c’è poco di nuovo, casomai sono gli stessi che si masturbano sulle inutili evoluzioni (ed involuzioni) dei M. Kuntz alle prese con un remake di marca Ranaldo/Moore, questa però non è ironia, ma di Dio ce n’è uno solo….
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

RADIOHEAD "Kid A" - EMI

Lì per lì questo disco mi aveva fatto girare le palle. Ecco, avevo pensato, la solita menata del G.A.T.S. e cioè del Grande Artista Travolto dal Successo che deve far vedere di essere un genio e non un pupazzetto in mano alle case discografiche, pronto solo a sfornare hit-singles (come se fosse facile…). In più essendo io in possesso della copia in vinile, con la divisione fra side Alpha, Beta, Gamma e Delta (ispirati forse dalle Lancia di una ventina di anni fa…) non avendo fatto studi classici, non sapevo cosa ascoltare per primo. Mi è bastato voltare la copertina e controllare la scaletta e cercare di prestare più attenzione ai suoni. Piano piano l’imbarazzo iniziale per un lavoro a tratti ridicolo, scompare e se anche resta l’impressione di un’operazione più commerciale che artistica, anche se non votata alla pecunia, quanto all’immagine (per primavera si parla già del disco con “vere canzoni”….), la bizzarria si trasforma presto in magnetismo e la glacialità che avvolge sia il sound che il packaging, si scioglie a favore di una sensazione liquida di appagamento. Un lavoro che, meditando in chiave futura, incuriosisce; cosa succederà quando il “warpismo” incontrerà le chitarre smithsiane?
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

QUEENS OF STONE AGE "Rated R" - Interscope

NASHVILLE PUSSY “High as hell” – TVT
SARTANA “Trade your pistol for a coffin” – People like you…
LARD “70 rock must die”

Ci risiamo a discutere di rochenroll quando siamo ormai vicini al suo cinquantesimo compleanno (ma da quando partiamo? da “Intorno all’orologio”, da Elvis, dai Fab Four, dagli Zep, dal punk, dai Nirvana o dalla nascita di emtivì?) e continuiamo a dividerci fra coloro che spedirebbero dallo psicoterapeuta i revivalisti e chi concepisce la musica solo in strofa e ritornello. Noi come tutti gli italiani, che urlano a destra e sinistra, ma nascono e muoiono democristiani, ci spostiamo al centro (ormai son tutti lì) e cerchiamo di cogliere le ragioni di entrambi. Così non possiamo non apprezzare, le capacità millimetriche di una band come i QOSA, che seppur spostandosi verso l’AOR (anche tutte ‘ste sigle riportano alla politica italiana…) mantiene il magnetismo della band da cui sono scaturiti e che ovviamente non stiamo a ripetervene il nome. Sull’altro versante troviamo il bluff clamoroso dei Nasville Pussy che solo perché mettono due baldracche in formazione vengono considerati alla stregua di chissà quali maledetti del r’n’r. Alito pesante che esce da bocche a cui non affiderei certo il mio uccello e tematiche da leghisti in acido celtico, per una musica che definire dozzinale è innanzitutto doveroso. Se vogliamo spassarcela allora prendiamo in considerazione piuttosto i Sartana, così incrementiamo il PIL visto che sono italici, anche se incidono per un’etichetta tedesca, ma soprattutto sono onesti (dote fondamentale per la roots music…) si divertono e ci divertono, anche perché pescano a piene mani dal letamaio della produzione western di serie C2 girone B e non si vergognano, ma soprattutto non cercano di ricamarci sopra chissà quale giustificazione culturale, bravi. Dulcis in fundo perché non farsi stritolare dal per niente tenero abbraccio di Jello Biafra, che oltre ad avvisarci in tempo dei pericoli di un’informazione drogata, ci mette anche in riga affinché non ci buttiamo nel marasma dell’ovvio. Una battaglia che conduce da sempre e noi siamo con lui… (leggersi il testo pleeese….)
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

PITCHSHIFTER "Deviant" - Wea

Di tutta la nidiata tecno-metal o cyber-grunge (ci ho messo tutto così in qualcosa ci azzecco) i Pitchshifter sono quelli che hanno resistito meglio all’usura del tempo (che schifo sembra lo spot pubblicitario di un pneumatico). Senza arrivare alle vette inarrivabili degli Young Gods e senza sfiorare l’estremismo degli altrettanto inaccessibili Fear Factory, si son fatti le ossa presso la scuola “Mal di Orecchie” ed oggi approdano ad un sound che è diventato mainstream non per colpa loro, ma nemmeno per merito loro. Sono dei pionieri, ma il capolavoro non l’hanno mai inciso e ciò vale anche per Deviant, anche se l’energia gira a mille.
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

LIMP BIZKIT "The chocolate starfish..." - Interscope/Universal /// PAPA ROACH "Infest" - Dreamworks

I primi della classe e le matricole. I miliardari ed i mendicanti (si fa per dire visto che hanno un contratto con la Dreamworks…) uno di fronte all’altro, ma mi spiace dirlo non c’è partita. Non solo per i suoni, ma anche per le idee, “Chocolate…” fa sparire “Infest”. C’è chi si è lamentato perché i Limp Bizkit hanno proposto una formula troppo collaudata e di facile presa. Ora vorrei sapere cosa c’è di nuovo in ambito crossover da qualche anno a questa parte a partire dalla madre di tutti i “pacchi” ( e cioè i RATM)? I Bizkit propongono un disco veloce, suonato ed inciso straordinariamente bene, con tanto di soundtrack ruffiano di MI2 (che almeno cancella l’obbrobrio dei mezzi U2 di qualche anno fa). I Papa Roach invece esordiscono in maniera convincente, ma neppure loro dicono nulla di nuovo. Comunque se è solo l’adrenalina che cercate qui ne troverete a carrettate e poi meglio loro dei Backstreet Boys, di Paola e Chiara o dei Lunapop nelle orecchie dei teen-ager, ma a quel punto anche l'otite è meglio….
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

DEFTONES "The white pony" - Maverick/WEA

“Al Cavallino Bianco” è un’operetta della Belle Epoque che non ha certo ispirato questo lavoro dei Deftones, ma certo c’entra quanto la presunta influenza dei Cure di cui non riconosco neppure un accordo. I Deftones sono una delle band più importanti degli ultimi anni e non ha certo bisogno di padri spirituali, ma se proprio si vuole fare un paragone si può passare eventualmente dai lidi dei My Bloody Valentine o i classici Soundgarden. Disco più lento del precedente, ma certo non meno duro, con chiaro il marchio della produzione di Terry Date, ha una marcia un più, proprio perché cerca di colpire al cuore per l’atmosfera e non alle gengive come i metallari crossoveristi retrogradi loro coevi. Certo un bell’aiuto lo da’ anche Keenan in “Passenger” (voilà che titolo!). Gran disco, non certo un’operetta….
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

CYPRESS HILL "Skull and bones" - Columbia/Sony

Si è parlato spesso di “Judgement Day” colonna sonora di un film affatto imperdibile di qualche anno fa, dove fra l’altro il soundtrack si sentiva poco e niente. La cosa non ha sorpreso nessuno perché in effetti quella è una buona pietra di paragone per tutto quello che negli anni a seguire è stato definito crossover o, peggio, rap-metal. Quello che colpisce invece è l’enfasi che ha accolto questo “Teschi ed ossa” dove a parte alcuni brani di gran tiro, non si respira gran aria nuova. I C.H. dimostrano di avere buon gusto, ma non tutto quel coraggio che viene loro attribuito, visto che si tratta di cose già sentite varie volte e tra l’altro la separazione netta tra i generi in due dischi, voluta espressamente da loro, testimonia che la versatilità tanto sbandierata potrebbe essere solo una posa e non vera voglia di sperimentare una contaminazione tra generi. In più la parte rap è decisamente pallosa e questo non è un bel segnale.
"da Jammai nr. 36/37"

COLDPLAY "Parachutes" - Parlophone/EMI /// MUSE "Showbiz" - Taste/PIAS

Due dischi che non si assomigliano affatto e che eppure hanno molto in comune. Innanzitutto sono entrambi dischi ruffiani, visto che puntano al cuore, passando da tutti quei trucchi di rimandi e richiami a cui non si può essere insensibili, a meno di non essere completamente intorpiditi dal “Grande Fratello” (a proposito nessuno ha notato la somiglianza fra Rocco ed il nostro vate Pennello?). Coldplay e Muse fanno due antologie della storia del rock britannico (ma non solo, visto che ci sono pure echi di Buckley, sia padre che figlio, tanto per non far torto a nessuno) che va dal pop degli anni sessanta, al glam, fino al meglio degli Oasis (perché, esiste un MEGLIO degli Oasis, quei grandissimi scassacazzo?), ma questo, chissà perché, non infastidisce, forse anche per le indubbie capacità delle due bands. Da segnalare anche un profilo più basso (per ora) tenuta dai gruppi, nonostante il successo e gli starnazzamenti di certa stampa (quella inglese) alla disperata ricerca di nuovi fenomeni.
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

CALEXICO "Hot rail" - City Slang

E’ stato in assoluto il “disco dell’estate” ed è strano parlarne ora che stiamo già mettendo i regali sotto l’albero, ma ci è sembrato doveroso parlarne visto che dal nostro punto di vista “Hot Rail” non è stato considerato la gemma che effettivamente è. Non manca nulla a questo disco che una parola orribile vorrebbe a tratti etnico ed in altri momenti “di frontiera” (altra abusatissima definizione…). Appena uno sente odore di deserto, saltano fuori le congetture sulle allucinazioni, i funghi (non quelli per il risotto) e la borderline. Certo dal DNA mex-tex sfuggi se sei nato a Cavarzere, mentre per i Giant Sand è più difficile, ma anche questa storia della musica visionaria ha un po’ rotto i coglioni. Non per niente qui c’è una bella “Ballata di Cable Hogue” che porta dritti a Peckinpah, uno che il sangue nelle vene ce l’aveva sul serio, anche se il film di riferimento mi sembrava più giusto essere “Bring me the head of Alfredo Garcia”, disperato e romantico, proprio come “Hot Rail”. Se non ve ne siete accorti correte ai ripari.
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

JEFF BUCKLEY "Mistery white boy" - Columbia

Inizia a sentirsi odore di speculazione intorno al nome del Buckley giovane (ma recentemente sugli scaffali avrete trovato anche un inutile omaggio al genio del padre). Certo non ha mai goduto di una popolarità interplanetaria, ma è sicuro che i suoi fans, me compreso, siano numerosi. Si parla sempre di atto d’amore, ma anche quello verso il Washington stampato su biglietti verdi lo è. Comunque alla fine si cede sempre alla ragione del cuore ed un live dell’ultimo dei geni-belli-e-dannati, ma soprattutto morti, non può non fare gola, anche se il freddo compact non restituisce sicuramente la magia che questo artista era in grado di sprigionare in concerto. Forse sarebbe stato meglio far uscire uno show intero. Sarà per la prossima volta…..
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

A PERFECT CIRCLE "Mer de noms" - Virgin

Visto che i Tool fanno uscire i dischi in concomitanza con l’elezione del presidente USA, chissà quanto dovremo aspettare per vedere quello nuovo se aldilà dell’oceano si mettono a contare tutti i voti a mano. Keenan però i questo Cerchio Perfetto ci crede tantissimo al punto di definirli più grandi della sua band di origine, il che ovviamente è una stronzata. Tutto quello che di spontaneo e di magneticamente sotterraneo c’è nei Tool, qui viene riproposto, ma l’operazione sembra quasi studiata a tavolino. In pratica su “Mer de noms” (titolo del cazzo duemila!) c’è un’influenza più forte del rock anni settanta e nulla della new wave che su qualche testata è stata sbandierata. Ottimi musicisti è ovvio, buon lavoro, ma le vette raggiunte da “Anaema” sono un’altra cosa.
"da Jammai nr. 36/37 - 08-09-10-11-12/00"

STEREO MC'S "DJ Kicks" - Studio K7/Audioglobe

La grande truffa del dancefloor… o meglio i calci bisognerebbe darli a loro questi sfaticati degli Stereo Mc’s che lavorano meno dei funzionari delle poste italiane ed ora sfornano un cd con il loro bel nome sulla copertina, mentre a loro firma c’è solo un brano ripreso tre volte. Antologia dunque e, seppur piacevole, almeno disonesta o meglio malandrina, come direbbe qualcuno. Se avete soldi da buttare fatelo, ma con le vacanze alle porte e la nuova finanziaria al ritorno dalle ferie non ve lo consiglio.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

SONIC YOUTH "NYC Ghosts & flowers" - Geffen

Come ci avviciniamo al trecentesimo album dei Sonic Youth? Diciamo che nonostante il tempo che passa, la scena indie deve fare sempre i conti con loro, oppure asseriamo che purtroppo il tempo passa e la loro formula ormai è annacquata? In pratica si tratterebbe dello stesso discorso, solo che stavolta c’è dell’altro. Da anni Moore, moglie ed amici, diffondevano le loro idee, sempre sotto forma di canzoni, certamente di buon livello, con ben impresso il loro marchio, ma priva di quella sinistra magia che li aveva accompagnati fino al periodo della popolarità planetaria. Su questo “My ghost..” la tensione è tornata ed insieme ad essa anche la voglia di sperimentare, facendo di questo disco il più bello ed interessante dai tempi dell’inarrivabile (non solo per loro) “Daydream nation”. Siamo felici di questo ritorno, anche perché finalmente i nostri incubi, od i sogni più contorti, hanno di nuovo la loro colonna sonora.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

PATTI SMITH "Gung Ho" - Arista

Tutte le volte che mi trovo al cospetto di questa signora del rock, mi emoziono, quindi le mie parole non sono mai equilibrate, ma sempre di parte. Cosa posso farci? Nulla. Già dagli oceanici concerti della fine degli anni settanta porto dentro di me il suo sguardo tagliente e la sua voce asfaltata ed oggi, che non riempirebbe il piazzale antistante ad una chiesa, mi trovo ad amarla nella stessa maniera, seppur riconosco che i brani memorabili sono meno di un tempo. C’è da segnalare che certo rock chitarristico, quello buono, intendo, non certo quello dell’ultimo Santana, sta nuovamente facendosi strada e la nostra signora si trova all’avanguardia pur non muovendosi di un millimetro. Certo che ad ascoltare dischi come questo non si può far meno che considerare il campionatore nient’altro che una propaggine della playstation.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

SMASHING PUMPKINS "Machina/The machine of God" - Virgin

Con la puntualità che mi/ci contraddistingue andrò a recensire l’ultimo (ora in tutti sensi) lavoro di Corgan & soci (ammesso che i soci avessero voce in capitolo). Devo ammettere che essendo assolutamente refrattario da sempre agli entusiasmi nei loro confronti, avrei preferito non occuparmene, ma poi l’ascolto di questo album si è rivelato più piacevole del suo titolo simil romanesco nella prima parte e così insopportabilmente definitivo nella seconda . I suoni sono sempre eccellenti, ma questa volta le canzoni sono più dirette, meno masturbate, forse perché il suo leader si è stancato di recitare la parte della star sulla cima della classica torre di avorio. Il gusto generale è deliziosamente retrò, non tanto per i richiami alla new-wave, qui invece meno presenti, quanto per certe cadenze simil grunge che però non disturbano. Un disco quasi più rilassato e con meno fantasmi, anche se come al solito troppo lungo. …and now mr. Corgan?
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

ROLLINS BAND "Get some go again" - Dreamworks

Il ritorno dell’Omone con il gruppone che suona punk come lo si suonava ai bei tempi, quando cioè il punk non era altro che rinascita dell’unica forza primigenia del rock’n’roll: la ribellione. Questo sognavamo da tempo e questo l’Omone di Compton ci consegna. E’ bello vedere che se quasi tutti vanno verso il tramonto, altri percorrono la strada in senso opposto. E’ ancor più bello ascoltare qualcosa di semplice, ma coinvolgente, senza scadere nel revival, mentre tutti si rompono la testa a cercare inutili alchimie di “suoni nuovi”. Lo stesso Omone ha dichiarato di voler tornare indietro, ma la sua non è certo nostalgia, del resto non crediamo ne sia capace, ma solo la disperata ricerca di un periodo in cui il rock era qualcosa di terribilmente reale e non colonna sonora per sfilate (e sfigate…) di moda.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

MORPHINE "The night" - Rykodisk

Sarebbe facile fare dell’umorismo macabro e dire che questa musica è lenta da morire, cosa fra l’altro non vera, oppure essere ancora più cinici ed osservare che uno che si chiama uomo-sabbia doveva finire presto sotto terra. Si può anche osservare che un nome come Morfina poteva solo portar sfiga, ma è tutto inutile. La voglia di provocare sparisce, non per rispetto di fronte alla morte (dipende da chi muore…) ma perché il potere più grande della musica di questa band è quella di disarmare, di renderci totalmente inerti pronti solo a consegnarci a quello che è sul pentagramma ed in nessun altro luogo. In pochi sono arrivati così vicini alla vera essenza della musica negli ultimi tempi come loro, ma poi una maledetta notte d’estate si son dovuti fermare, proprio loro, con tutto l’orrido post-rock che c’è in giro, ma la vita è fatta così. Ora questo disco li onora e fa capire, se ce ne fosse bisogno, l’importanza dei loro suoni nell’ultimo scorcio del secolo ormai andato.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

EELS "Daisies of the galaxy" - Dreamworks

Gira che ti rigira il pop ti tormenterà sempre. In lungo ed in largo il fantasma dei baronetti infesterà le notti dei song-writers meno brutali, così come la parola psichedelia rovinerà la digestione a tutti coloro che comporranno ballate bucoliche in contesti modernisti. E’ successo a tutti, ma non credo che a Mr. E (un altro con la menata dell’artista-un-tempo-chiamato-in-un-altro-modo) di tutti ciò importi granchè. A dire il vero nemmeno a noi, altrimenti come accettare una ballata in odore del Waits più lirico intitolata “It’s a motherfucker”. La cucina del signor E è molto semplice seppur saporita e va bene per tutte le stagioni, in fondo cosa chiedere di più ad un cuoco?
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

BECK "Midnite vultures" - Geffen/BMG

Vi farò una rilevazione clamorosa: sapete chi ha ispirato Beck? Mia madre! Infatti Mr. Hansen, ha tratto il gusto dell’eccesso dalla cucina che da sempre cerca di nutrirmi con troppe calorie ed accostamenti di ingredienti impossibili. I suoi banjo nei brani simil-dance, stanno al formaggio sul risotto di pesce, gli inserti elettronici nelle ballate sono i biscotti al cioccolato serviti insieme al caffelatte mattutino. Niente di disgustoso, ma indubbiamente bizzarro ed eccessivamente calorico. Come sempre la mite apparenza di Beck nasconde una micidiale voglia di uscire dagli schemi che però ogni tanto lo rende vagamente insopportabile. Simpatico sì, come i suoi video, ma certo non un genio.
"da Jammai nr. 35 - 05/00"

SUNRIDE "Magnetizer" - Boundless

Effetti della globalizzazione: un gruppo finlandese che fa rock statunitense incide per un’etichetta italiana. Dieci anni fa sarebbe stata fantascienza, ma i tempi cambiano ed è giusto così, tanto più che questo “Magnetizer” è un mini-cd di assoluto valore. Già nel titolo fa tornare alla mente un grandissimo gruppo che nel più classico dei tempi non sospetti dette il la alla scena neopsichelica/stoner i Monster Magnet. Un ricordo che porta bene, visto che questo lavoro è decisamente ben fatto e non sfigura affatto al confronto con i più celebrati gruppi al di là ed al di qua dell’oceano. Del resto il nord dell’europa è ormai una fucina di idee nel campo del r’n’r ed una volta tanto il genere viene trattato con una freschezza ed una modernità confortante che ci ristora le orecchie, ormai semichiuse per colpa del cerume post-sabbathiano.
"da Jammai nr. 34 - 03/00"

NINE INCH NAILS "The fragile" - Nothing/Interscope

Evidentemente ai songwriter di questa generazione non basta più incidere album, prendere droghe, spararsi, inneggiare satana, dichiararsi trisessuali, produrre film, devono tentare di passare alla storia come novelli Mozart in grado di scrivere sinfonie o suites dodecafoniche od album concept. In pratica non bastano più le folle oceaniche dei concerti alternativi o quelle ancor più immense delle platee televisive del gusto omologato di emtivì (a proposito: a me se la oscurano non me ne frega un cazzo e a voi? Lanciamo un sondaggio!), ma devono essere considerati da tutti dei geni. Ecco che come il sepolcrale leader degli Smashing Pumpkins, Reznor ci sottopone al titanico sforzo di ascoltarci un doppio cd zeppo di tutte le sue paturnie. Sai le risate che si fa all’altro mondo Cobain a cui bastavano tre minuti per dire tutto. Comunque il problema è un altro: questo filone di industrial è come il cinema francese, da anni dice sempre le stesse cose. C’è poco da fare: se i primi anni del secolo furono definiti Belle Epoque, gli ultimi dieci tra due/trecento anni verranno identificati come “Brutte Epoque” perché a quei tempi avevano Proust, Mann e Kafka, mentre noi ci dobbiamo accontentare di Busi o Welsh. Ad ognuno il “genio” che si merita.
"da Jammai nr. 01/00"

MOONSPELL "The butterfly effect" - Century Media

Sempre eleganti i Moonspell, autentici stilisti del death/doom/industrial (e vacci tu a trovarla tu un’etichetta per ‘sta musica…) sin dalla copertina che per fortuna non riporta anticristi, né tutto il merchandising del buon vecchio Caprone. Si parla di farfalle, ma Puccini è lontano, seppure latino come Ribeiro e compagnia. E’ più vicina la new-wave in questo caso, seppur non si tratti di maledettissimo revival, qui siamo di fronte più che altro alla sepolcralità evocativa dei Sisters of Mercy, senza però che si arrivi mai al plagio dei Type O Negative; oppure a certe ballate del Murphy solista. Avvolgenti ed inquietanti, ma mai tediosi per fortuna, una vera mosca bianca (anche se di candore qua ce n’è pochino) nel panorama musicale europeo odierno.
"da Jammai nr. 33 - 01/00"

MARILYN MANSON "Holy Wood" - Nothing/Interscope

Ci risiamo… è tornato il cazzone tormenta-commissioni-di-censura… Che dire? Il disco sembra sempre il solito, lui lo è ovviamente il solito. Trattasi di piacevole kiss-music di questi tempi industriali. Il vero scandalo sta nei tanti idioti che ingrassano un mito degno delle migliori pantomime di Loretta Goggi in una canzonissima anni settanta. Si apre con una quasi cover del tema di “Attenti quei due” e tutto il resto è già su altri dischi, dai Sisters of Mercy fino ai Ministry ( che detto fra noi, persone intelligenti, sono di ben altra classe…). Che palle i maledetti di questi tempi maledetti! …e per cortesia mettete una taglia su tutti quelli che li citano ogni volta che un semi-deficiente senza né arte né parte litiga con i genitori e li accoltella!
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/01"

METALLICA "S&M" - Vertigo

Sento già qualcuno esclamare: “Ma come si fa a recensire un disco dopo così tanto tempo? ….e dei Metallica! …e con l’orchestra!” Si sa però che fra i tanti pregi di Jammai non c’è la tempestività, in più sono dell’idea che per valutare un disco nella giusta maniera, di tempo ne debba trascorrere un po’. Nel caso di questo lavoro ancor di più. Quando una delle band più famose del pianeta si mette a fare un disco con l’Orchestra, generalmente significa che è alla frutta ed i casi di Deep Purple ed E.L.& P. insegnano, ma non si può certo dire che ai quattro cavalieri manchi il coraggio. La prima immagine che viene in mente ascoltando “S&M” è quella di quattro culturisti impegnati in danza classica, ma presto la goffaggine dell’operazione sparisce per far posto all’indubbia bellezza delle composizioni. Fortunatamente viene evitato il pericolo del virtuosismo strumentistico ed alla fine non possiamo non dirci tutti morriconiani. Comunque FFO (aka For Fans Only).
"da Jammai nr. 33 - 01/00"

KEITH JARRETT "The melody at night with you" - ECM

Questo disco non c’entra un cazzo con questo giornale (lo possiamo chiamare giornale Pen Pen, o ti offendi?) e proprio per questo lo recensiamo. O forse potete pensare che si tratta di una sparata snob, tanto per far capire che anche noi semo ggente de curtura, od addirittura di quei tipi che ogni tanto per sembrare “cool” (che detto così a Milano non deve fare una gran bella impressione) scoprono il filo per tagliare il burro strombazzando: “…ma i dischi di **** sono veramente mitici”. No, niente di tutto questo. Jarrett non ha bisogno di essere riscoperto ed è impossibile dimenticarlo, solo che ritrovarlo lungo la strada in una serata d'inverno ci ha fatto un immenso piacere e di questi tempi la qualità è merce assai rara.
"da Jammai nr. 01/00"

CURE "Bloodflowers" - Fiction/Universal

Capisco perché questo disco dei Cure è stato stroncato o perché non è piaciuto ad un buon numero di fans. Troppo pessimista per questi baldanzosi tempi di new economy, affatto alla moda con quel suo gridare in mezzo al coro di voci basse e battiti lenti e nemmno pronto a raccogliere i frutti del revival dark che lui ha creato più di tutti, con svisate chitarristiche quasi in odore di AOR. In fondo questo è il loro primo ed unico disco blues, proprio dove blues significa sangue, elemento che ha spesso accompagnato i suoi testi e che marchia anche questo nuovo album. Blues anche come tristezza, per un progetto che forse finirà, almeno sotto questa sigla. Perché il ragazzo pacioccone, introverso e un po’ strano che prima o poi tutti abbiamo incontrato nella nostra vita, è diventato grande. E questo a molti non è piaciuto, ma noi resteremo sempre fedeli a questo Peter Pan alla rovescia.
"da Jammai nr. 33 - 01/00"

BLINK 182 "Enema of the state" - Universal

I Blink 182 sono degli stronzi. Hanno delle facce da stronzi. Fanno dichiarazioni da stronzi. Girano video stronzi ed anche il nome della band è proprio da stronzi. Le loro canzoni però ti si appiccicano addosso e non ti mollano neanche se ti tuffi in un mare di country o fai regolari docce di musica classica. Difficili trovarli simpatici quando rovesciano tonnellate di merda sui puri dell’hardcore, ma ormai l’acne-core ha invaso tutti gli spazi di quella che una volta si chiamava musica alternativa. Al bando il do it yourself dei Fugazi e la violenza ascetica di Rollins. Una scoreggia ci/vi seppellirà.
"da Jammai nr. 33 - 01/00"

BAUHAUS "Gotham" - Santeria

Un altro gradito ritorno, (forse troppi in questo periodo…) come avrebbe detto un presentatore di Canzonissima, soprattutto per quelle legioni di fans giovani che non hanno potuto vederli quando Murphy e soci erano in auge. A dire il vero i Bauhaus da subito sono usciti dai canoni stretti del dark e questo ha permesso loro di essere amati anche da tanti artisti a cui hanno fornito molta ispirazione e molte idee. Su questo live c’è poco da dire e molto da ascoltare, anche se le esecuzioni, prive di pecche (una caratteristica loro, che suonavano straordinariamente bene in un periodo in cui era ancora diffuso il “prendi lo strumento e suona; qualcosa di interessante ne verrà fuori”) sono un po’ frettolose e l’incisione non è delle migliori. Unica annotazione di cronaca: la tournè del 98 di cui il disco è una testimonianza, è andata sold out ovunque; evidentemente quei colpi sul bordo del rullante di “Bela Lugosi” continuano ad ammaliare. Consigliato il video, dove c’è una scaletta diversa.
"da Jammai nr. 33 - 01/00"