Live 8 o Live Cotto?


Molti di voi sapranno che io non amo affatto i concerti. Li trovo un rito arcaico ormai desueto quanto il loro nonno, il circo equestre, ormai fortunatamente quasi scomparso, e la loro mamma, l’opera lirica, che invece ancora succhia soldi pubblici che potrebbero essere destinati a miglior sorte. Non me ne vorrà l’amico Pennello a cui non è il pene a dare il pane, ma proprio questi avvenimenti sudaticci/mondani. Ogni tanto qualche avvenimento degno di nota c’è, ma non è certo il caso del Laivotto. Come sempre qualcuno si alzerà per dire: ma l’importante è aver segnalato al mondo i problemi di…, ma è una cazzata, la musica è la cosa più importante e non può essere usata come scusa da chi in un anno prende più royalties del PIL di due paesi del quarto mondo. In più se volessero fare delle cose serie, dovrebbero stracciare i loro contratti miliardari stipulati con major azioniste di fabbriche d’armi o rinunciare agli spot pubblicitari di aziende che con interessi in campo petrolifero foraggiano sanguinose guerre. Si potrebbe anche obiettare che Geldof ha organizzato questa kermesse per rilanciare la sua inesistente carriera, ma i simpatici subsahariani (a cui va ovviamente tutta la nostra simpatia ed il nostro rispetto) dovrebbero soprattutto preoccuparsi perché dal Live Aid del 1985 in qua le cose per loro sono addirittura peggiorate. “Cancellare il debito” è solo un insieme di parole ripetute allo sfinimento che non significano nulla, sarebbe molto meglio stanare i tesori nascosti alle Isole Cayman o nella civilissima Svizzera di quei dittatori feroci a suo tempo sostenuto dai governi occidentali. Per quanto riguarda il lato musicale è stato pure peggio della dissenteria, autentica piaga dei paesi africani. L’accozzaglia dei buoni sentimenti trasportati dalle limousine sui palchi, ha prodotto il nulla, che è la vera cifra stilistica della nostra epoca; non per niente, Coldplay a parte, le canzoni più belle avevano minimo vent’anni. C’è da dire che gli italiani hanno brillato come sempre per pochezza, non tanto per la qualità artistica (Renato Zero è un performer migliore di Robbie Williams, Mayala Carey fa sempre rimpiangere la Pausini) quanto per quella organizzativa, che non va mai oltre la sagra di paese. Qualche perla nel letame si è vista, come Bjork dal Giappone, o la conclusiva “One hundred years” (un messaggio di speranza, eh Smith?) dei Cure da Parigi. Per il resto è film dell’orrore puro, in versione multitasking sul satellite, che ci ha permesso di non perderci la “Roma capoccia” di Venditti con Baglioni e Britti (che non sapevano il testo), come il pistolotto ecumenico di papa BONOdetto XVI. Bizzarrie sparse: i REM non ispirati guidati da Stipe mascherato da Paperinik e l’assurdo coro di elogi per Madonna, il cui successo, a proposito di avventi mariani, è il quarto segreto di Fatima, perché non sa cantare, non sa ballare ed ha lo stesso sex-appeal di Livia Turco. Però in mezzo a tutta questa miseria il miracolo è veramente avvenuto, Mosè ha diviso le acque. Passata la mezzanotte, ecco sul palco quattro vecchi, vestiti come possono esserlo solo i musicisti di un dopolavoro ferroviario alla festa del patrono, in barba al marketing imperante che pezzi di merda come Chiambretti fingono di irridere. Il repertorio è composto da canzoni talmente note che le canta anche il tuo comodino e tutti sono lì pronti a farsi una grassa risata, ma la serata, anziché grondare torrido sarcasmo, si illumina di magia. La Freccia del Tempo scocca in senso contrario e va verso un’epoca perduta quando il rock era veramente il Verbo e torna indietro per suscitare a molti antiche e sopite emozioni ed a quelli che ancora nel 1981 erano casomai niente più che spermatozoi stupore per non aver mai ascoltato cose simili nel band coeve. Ecco allora che le cose finalmente hanno un senso e ci sentiamo meglio, non tutto il tempo dedicato a questo enorme karaoke è stato sprecato e dopo un fiume di parole inutili, parole importanti, ma assolutamente sprecate e svuotate come bontà, cinismo, solidarietà, evento, fame, debito, povertà… ci accorgiamo di aver dimenticato da tempo la più importante: leggenda.
"da Cacofonico 08/05"

MORGAN “Non al denaro, non all’amore, nè al cielo” – Sony /// COLDPLAY “X&Y” - Parlophone/EMI

… e se vi dicessi che De Andrè è sopravvalutato, voi mi tirereste quello che vi capita fra le mani, vero? Probabilmente avete ragione, allora diciamo che le canzoni di De Andrè sono tra quelle che risentono maggiormente dell’usura del tempo. Si potrebbe aggiungere che ognuno ha le star che si merita (come il governo… ma che cazzo di peccato mortale abbiamo commesso poi…) così qui ci troviamo di fronte ad un connubio gossiparo di cantanti + attrici (anche se definire Asia Argento un’attrice è come dire che un portabiciclette è una scultura o che Castelli è un ministro…) ma le consonanze si fermano qui. Sui Coldplay, alle prese con il difficile terzo album (quello che per i veri giornalisti segue il difficile album d’esordio ed il difficile secondo album) la stampa specializzata era pronta a sparare a zero, ma Martin & soci li han messi a sedere, così al massimo si è parlato di noia, come i critici musicali di Repubblica (perché Repubblica ha dei critici musicali???) od il New York Times che poi casomai sbava dietro ad un posteggiatore abusivo di nome James Burp o Blunt che sia. I migliori però sono quelli di R. Stone Italia (questo sì un gran periodico, con quei bei fogli grandi e resistenti, perfetti per incartarci il pesce) che rovesciano il mondo, snobbando i Coldplay ed incensando il lombardo Castoldi . Voi fidatevi solo del Cacophonico perché anche se “X&Y” non è un capolavoro assoluto, non ha una sola canzone da buttare e raccoglie le migliori sensazioni della musica inglese, dai Beatles ai Radiohead, passando per new-wave ed House of Love (a proposito è uscito da qualche mese un nuovo bellissimo album…). Non credete alla chiacchiera che vede “X&Y” un lavoro al servizio del suo leader, perché in verità la musica dei Coldplay è una perfetta alchimia di giri armonici, ritmi e melodie unica al mondo. Teneteveli stretti, a meno che in futuro non ci tradiscano come quei tromboni degli U2 ed alle prese con il “difficile” quarto album anziché darci uno Zo-So e ci rifilano una coglionata stile “fuoco indimencabile”. Badate solo alla musica, che in un disco ha ancora la sua importanza e lasciate i giochini da intellettuali a quelli che danno le lauree honoris-causa a gente come Vasco Rossi (di cui comunque ringraziamo i fans per aver preso a bottigliate le Vibrazioni ed i Velvet…) mentre fanno morire nella miseria Lauzi ed Endrigo… fidatevi, anche De Andrè sarebbe d’accordo….
"da Cacofonico - 07/05"