ARCTIC MONKEYS “Humbug” – Domino - MUSE “The resistance” – Warner - CECILIA BARTOLI “Sacrificium” – Decca/Universal

Chiariamo subito una cosa: come gli Artic Monkeys rappresentano l’evoluzione della musica degli anni ottanta, i Muse sono l’espressione dell’involuzione di quella degli anni settanta. Facile fare dell’umorismo affermando che “La resistenza” è quella che ci vuole per arrivare in fondo al lavoro di Bellamy e soci, ma anche profondamente ingiusto perché è chiaro che i Muse sono quantomeno sinceri nella loro proposta. Il loro viaggio però li ha portati fin qui: tra i synthazzi pop e improvvide escursioni alla freddimercuri che credevamo per sempre nell’oblio. Di ELO (per fortuna) ce n’è stata una sola e non era certo il caso di scoperchiarne il sepolcro, ma l’anima vaudeville dei britannici è sempre dietro l’angolo. Anima albionica che però ci permette di salutare una band in splendida forma, gli A.M. che con “Humbug” si ergono al di sopra di tutti i concorrenti in una gara che in verità non è mai partita, dato che nessuno in così poco tempo è stato in grado di migliorare il proprio repertorio con così tanta freschezza e fantasia. Anche per loro il debito nei confronti dei predecessori è forte, da Morrissey alla psichedelia britannica, ma l’elaborazione non diventa mai stucchevole esibizione, come nei Muse dove si scimmiotta con “sciopen” un intellettualismo senza alcun senso. Se volete mettere mano ai classici piuttosto procuratevi l’ultimo lavoro della Bartoli, assoluto prodigio della natura che in Italia non facciamo nemmeno esibire per dare spazio a cadaveri nemmeno eccellenti come Marco Carta, mentre in tutto il resto del pianeta si lustra gli occhi. “Sacrificium” vi conquisterà per le prodezze vocali, ma colpisce anche perché dedicato ai “castrati”, quei ragazzi (4000 in un anno…) che venivano brutalmente privati della loro virilità affinché mantenessero la voce acuta. Un album impressionante sotto tutti i punti di vista.
(dal Cacofonico nr. 69 del 10/09)

Altri suoni per l'estate

Tra suoni quasi nuovi che stentano a sorprendere, ma almeno ti fanno passare una mezz’ora al riparo dalle ansie della crisi che c’è o forse non c’è (Grizzly Bear, Akron Family, Warlocks, Kasabian, Crocodiles etc.), ogni tanto appare qualche lampo di creatività pura che parte sì da lontano, da territori cioè scarsamente esplorati, ma in grado di arrivare a cuore, cervello e, perché no, alla pancia. E’ il caso dei Tinariwen , già lodati in passato, il cui nuovo “Imidiwan: companions”, dove il blues, o meglio, l’idea del blues torna a casa e viaggiando attraverso il Sahara ridiventa sofferenza, passione, tingendosi di colori inediti e spargendo fragranze rinfrancanti. Da lontano, molto lontano, arriva Don Cherry, un gigante scomparso, il cui già ampio ambiente del jazz è sempre andato stretto. E’ disponibile ora su cd una collaborazione con il tablista Latif Khan “Music/Sangam” e lasciate perdere i preconcetti sui fricchettoni, perché saranno anche classici raga, ma una volta entrati dentro, non ne uscirete più. Per concludere, in un’estate che porta per vari motivi poca voglia di muoversi, ecco un lavoro che vi permetterà di viaggiare lasciando l’auto in garage: “Floodplain” del Kronos Quartet. Siamo al cospetto di altri Moloch della creatività che anziché sedersi sull’oro della loro fama, continuano a sperimentare ed a ricercare negli angoli più estremi del pianeta. Se soffocate non solo per il caldo, ma anche per l’aria stantia che esce dal vostro stereo, questa piccola dose di coraggio vi rinfrescherà.
(dal Cacofonico nr. 67 del 08/09)

Il sapore del pop

E’ sorprendente la storia dell’ultimo lavoro di Danger Mouse, il signor cinquantapercento dei Gnarls Barkley, che pur mettendo in campo il Real Madrid del rock (Casablancas, Iggy, Coyne e Chesnutt fra gli ospiti) non può uscire per una questione di diritti con la casa discografica. Anni fa sarebbe nata intorno al disco (“Dark night of the soul”) una mitologia infinita degna dell’album nero di Prince o dell’ancor più antidiluviano “Sorriso” dei Ragazzi della Spiaggia. A parte il fatto che ragionare in questi termini al giorno d’oggi è un po’ come usare la mongolfiera per andare in giro, o sfidare qualcuno a duello per un parcheggio, o cercare di parlare dei problemi di questa società: una cosa dell’ottocento. Sappiamo però che all’interno delle case discografiche (incredibile: ne esistono ancora!) si annidano le idee più antiquate del mondo e solo Scajola con il nucleare riesce ad essere più retrogrado. La cosa bella è che questo disco osteggiato per motivi ragionieristici e non artistici è perfettamente fruibile tramite la rete e nessuno può fermarlo. …e guarda un po’, andatelo a dire ai discografici di cui sopra, è veramente un gran bel disco che svetterebbe in tutte le charts. Quindi per gustare il sapore del pop dovrete armarvi di pazienza ed andarvelo a cercare, altrimenti resterete prigionieri dei consigli di articolisti snob da strapazzo (sia come articolisti che come snob) che vi spingeranno fra le braccia di lavori scolastici ed insapori quali “Actor” di St.Vincent o “Still night, still light” di Au Revoir Simone, per non parlare di Tiga con “Ciao!” (ecco sì bravo, saluta e vattene…) Per andare sul sicuro potete comunque optare per il nuovo Royksopp (“Junior”), ma saltando il fosso non vergognatevi ad ascoltare l’ultima compilation di Coccoluto “Amigdala” uno che una volta doveva vergognarsi ad andare in giro a dire che faceva il deejay, mentre oggi quasi gli danno una cattedra di antropologia (a parte che ne sa più lui di tanti altri…). Il suo viaggio verso una house minimal-chic è compiuto ed il tempo passato ad ascoltarlo non è certo tempo perso. Per chi non si arrende c’è “The eternal” dei Sonic Youth che noi troviamo molto fresco e straordinariamente “pop”, ma si sa: il gusto, come la giustizia checché se ne dica, non è uguale per tutti.
(dal Cacofonico nr. 66 del 07/09)

La leggerezza del tocco

Sarà per la stagione che passa dall’inverno all’estate e ritorno nel raggio di ventiquattr’ore, ma la mia attenzione di questo mese si rivolge ad opere che fra loro hanno poco in comune e le alterno nel mio lettore ottenendo effetti devastanti sulla mia psiche già fortemente debilitata dal mondo circostante. Che cosa è soffice o duro per le nostre orecchie e perché a fronte della musica detta leggera non si è mai parlato di musica “pesante”, ma “impegnata”? Partiamo da una delle mie grandi passioni di sempre pur non essendo io un “culattone” come direbbe qualche illuminata camicia verde: i Pet Shop Boys. Più che “leggeri” io li ho sempre sentiti “leggiadri”, in grado cioè di dare un tocco di buon umore alla giornata, anche dopo aver ascoltato un discorso del premier, i belati dell’opposizione e le relative smentite e questo disco, “Yes”, è ciò che serve di questi tempi. A fronte della synth(ma non troppo)-band , metto quello che considero una delle migliori metal-band del mondo: i Brutal Truth. Il loro “Evolution through revolution” già dal titolo la dice lunga e penetrare all’interno di questo blocco incandescente di violenza pura è impresa ardua, un genere che chiamerei “brunetta-metal” tanto è insopportabile, anche se a differenza delle altezzose dichiarazioni del ministro (“Ministro? Con quella faccia? Ma mi faccia il piacere!” grande principe De Curtis…) queste canzoni (oddio canzoni…) lasciano una spaventosa energia dentro l’ascoltatore. Giù di lì vanno anche i Ministry che ci salutano affatto mestamente con la registrazione di un concerto micidiale e lo intitolano “Adios! Puta madres (Live)”. Pensate un po’: se i Nomadi decidessero finalmente di togliersi dalle palle e chiamassero il loro ultimo album: “Porca Mad… Live!”, ma siamo nel campo della fantasia… Stesso terreno dove si sono ritrovati due reduci degli anni tra i settanta e gli ottanta; parliamo di John Foxx e Robin Guthrie che in “Mirrorball” infondono elettronica leggera, chitarrismo e vocalità eterea in un’opera che non è un capolavoro, ma si fa preferire di certo a certe porcate elettroniche che van per la maggiore sulle riviste specializzate, ma non su questa, dato che la nostra unica specializzazione è proprio la leggerezza.
(dal Cacofonico nr. 65 del 06/09)

U2 “No line on the horizon” – Mercury - DAN AUERBACH “Keep it hid” - Nonesuch

Che cos’è un classico? Facile rispondere: qualcosa che resiste nel tempo e che ci da sempre le stesse emozioni. Il problema è: come riconoscerlo subito? Anche qui si deve spalancare il cuore al pari dei padiglioni auricolari e far in modo che le note arrivino al posto giusto. Bono & soci, navigando fra paradisi fiscali ed iniziative benefiche soprattutto per la loro popolarità, han smarrito da decenni la strada maestra per il cuore. Ricordando Chaplin che, presentandosi in incognito ad una gara per sosia di Charlot arrivò terzo, oggi come oggi gli U2 non riuscirebbero a vincere una delle tante gare per cover-band dedicate a loro stessi. Eppure qualcosa funziona, nonostante la solita rovinosa produzione di Brian Eno che è riuscito quasi ad affossare anche una band vitale come i Coldplay, perché se all’orizzonte di questa multinazionale non può esserci nulla, guardarsi alle spalle può essere utile. Così fra gli eccessi di riverberi, o di “Oh Oh” e “Sha La La” può arrivare qualche zampata incendiaria come”Magnificient” sicuramente uno dei brani più belli dell’anno (il 1987 però!) e giungere alla fine dell’album non è impossibile come spesso è accaduto con la band irlandese. Anche Auerbach si rivolge al passato, ma il suo è uno sguardo puro, senza calcolo ed interesse e questo è ciò che intenerisce della sua musica, sofferta eppure splendente. Scarni arrangiamenti e voce nasale, chitarra distorta e pochi pezzi di batteria, ogni tanto spunta il fantasma del Tom di “Swordfishtrombones” ma fa solo piacere. Un lavoro che pur avendo in mente padri antichi è rivolto al domani e tornando alla domanda iniziale, “che cos’è un classico?”, ecco brani come “Whispered words” lo sono già ora.
(dal Cacofonico nr. 63 dl 04/09)

Scherzi di carnevale

Ormai la festa più divertente dell’anno, quest’anno assai meno divertente del solito, è già passata da un pezzo, a parte a Montecitorio e dintorni dove il Carnevale impazza per dodici mesi. Sono un Qualunquista, dite? …e pure Populista? Sì è vero e allora? E’ un cosa di cui vado fiero. Quindi ascoltato il mio outing, non rompete più i coglioni e proseguiamo: gli scherzi dunque ce li han fatti i Franz Ferdinand e Bruce Springsteen. Sulla bandaccia di Glasgow abbiamo già detto a suo tempo tutto il male che c’era da dire ed oggi Kapranos e soci che ti combinano? Vanno ad incidere un disco stratosferico (“Tonight” – Domino Rec.)… un po’ come se Gasparri avesse un’idea geniale… Dopo tante chiacchiere e distintivo (la migliore band del pianeta… il pop più giusto che ci sia…) sempre comunque migliori di quelle di casa nostra, dato che il problema non è che Povia canta un canzone su/contro i gay, il problema è che Povia canta, punto e basta; finalmente la musica è all’altezza delle aspettative. Gran belle canzoni, con presa immediata ed ispirazione variegata, che mette in fila la solita new-wave ed una voce dai toni morrisoniani che non sarà una novità, ma fa sempre il suo effetto. Il brutto scherzo ce lo gioca invece il Boss da cui, concerti a parte, non ci aspettavamo certo faville, ma nemmeno un disco “scatologico” come “Working on a dream” (Columbia). Le ballate migliori sono poche e comunque, sempre le stesse, ma le peggiori sono veramente orride, quasi a livello sanremese. Se poi andiamo sulla sua tipica canzonaccia da stadio finiamo a mollo nella merda, dato che un brano come “Outlaw Pete” sfigurerebbe anche nel repertorio di Jimmy Fontana.
(dal Cacofonico nr. 62 del 03/09)

Saldi e ribassi

Anche per il rock è stagione di saldi. Gennaio è un mese dove c’è poco da trovare, forse per la stretta vicinanza con le festività natalizie, ormai da decenni terreno fertile di compilations e raccolte varie saturanti il mercato, le orecchie e, per chi ne è dotato, i testicoli. Proviamo a grattare la crosta della mediocrità generale e cerchiamo qualcosa che possa allietarci i pomeriggi gelidi e nebbiosi. Il primo grosso nome è quello del veneratissimo Antony con tanto di Johnsons che torna al pubblico con il nuovo lavoro “The crying light” (Secretly Canadian). Questo è un artista di cui molti narrano meraviglie, ma a noi sembra più bizzarro che geniale; in più la sua voce non ci piace proprio. Per capirci: “The crying light” è un disco notevole, ma dov’è questa abissale differenza con i lavori precedenti? Così si torna al discorso di prima: Antony è bravo, ma è un segnale luminoso in mezzo ad un oceano di pochezza e se lo metti al fianco di chessò, Nick Drake (uno che non c’entra un cazzo con lui) eccolo che sparisce. Gran nome per il discorrere generale anche quello degli Animal Collective che escono con “Merriweather post pavillion” (Domino Rec.) un ensemble aperto sia come componenti che per ispirazione. Anche qui non si può negare che l’ascolto sia quanto meno variegato, passando da un pop nevrotico a lunghe digressioni immerse in un brodo psichedelico, ma se tornano sul serio i My Bloody Valentine, questi che fine fanno? Ogni tanto poi salta fuori odore di Primal Scream che combinato a trame vocali un po’ pesanti, rendono la digestione dell’album lenta e difficile. I migliori del lotto sembrano questi Glasvegas (“Glasvegas” – Columbia), autori del “tormentino” “Daddy’s gone” ma che si fanno apprezzare per tutta la lunghezza del disco con un rock leggero, ma non troppo, delle gran belle chitarre ed una voce irriverente che ricorda lo Strummer meno incazzato…andiamoci piano però, lì siamo in un altro pianeta…
(Cacofonico nr. 61 del 02/09)

GUNS’N’ROSES “Chinese democracy” – Geffen Records

Non avrei mai creduto di trovarmi a parlare dei Guns’n’Roses alla soglia dell’età pensionabile. Primo: difficilissimo che loro ci arrivassero. Secondo: non era detto che ci arrivassi io. In più a me sti capelloni, ancor più imbottiti di stereotipi che di droga, mi sono sempre stati sul cazzo. Detto quindi dell’assoluta inutilità di questo disco, vorrei però fare alcune considerazioni. Solo fino a dieci anni fa un’uscita di questo genere avrebbe fatto saltare il banco, oggi fa anche un po’ tenerezza e quindi mi sento in dovere di prenderla in considerazione. Si pensava che i Guns spogliati di tutto il “rumore” mediatico si sarebbero squagliati come il programma del PD ed invece il disco c’è, è lì, suona e non sfigura. Come, osserverà qualcuno, hai sputtazzato su tutti quelli che fanno della musica un’unica immensa operazione revival ed ora difendi sti zozzoni? E’ vero: non è certo un album da isola deserta, a parte il fatto che se ti trovi su un’isola deserta hai ben altri problemi che ascoltare musica, ma i Guns, anzi diciamo pure il solo Axl e nel discorso ci potremmo infilare i Metallica, spernacchiati dai più, ma affatto male nell’ultimo album, sono in possesso di una cosa rara: l’onestà verso i loro mezzi, una cosa che gli permette di essere ascoltati con animo sereno e senza alcun preconcetto. La musica è un guazzabuglio di Aor mischiato ad industrial solo in grado di evocare il fantasma di quello che una volta veniva definito street-rock, ma dateci un ascolto, male non vi farà. Se poi preferite i Mogwai è affar vostro (e del vostro psicologo di fiducia…)
(dal Cacofonico nr. 60 del 01/09)

JOHANN JOHANNSSON “Fordlândia” - 4AD

C’è una gran voglia di neoclassicismo in giro. Sarà per questo bizzarro periodo in cui la plastica ed il fast-food intellettuale imperano, ma pare che il “lungo respiro”, il movimento elegante, a volte sontuoso, facciano battere i cuori molto più del tunza-tunza delle radiucole che fanno da sottofondo alle nostre vite. Questo signore dal nome nordico è chiaramente un nordico, non nel senso che vorrebbe dare Bossi a questa parola, ma certo di latino qui non c’è proprio nulla. Si sprecano anzi gli aggettivi come algido e glaciale, ma solo per pigrizia, un po’ come accade per il “suono del deserto” con certo rock o la definizione “sanguigno” appiccicato sempre a soul e blues. Non manca certo il calore in questo lavoro, dove nel solco di certe fascinose colonne sonore di film immaginari, si inseriscono inserti elettronici affatto disturbanti. E’ musica europea questa; una musica cioè che partendo dalla lontana tradizione dei maestri, viene reinventata ai nostri tempi e fatta marciare al nostro passo. E’ probabile che questi temi li abbiate sentiti in altre composizioni, ma una volta iniziato l’ascolto sarà veramente difficile liberarsene, soprattutto in giornate in cui il paesaggio intorno a voi, tanto per tornare ai luoghi comuni, si farà invernale. Da abbinare all’ascolto dell’album della Gerrard con Klaus Schultze, ma ci potremmo aggiungere i Mammiffer.
(da Cacofonico nr. 59 del 12/08)

ORNELLA VANONI “Più di me” – Sony/Columbia

Non mi sono rimbambito tranquilli. Questa in verità è un’anti-recensione, cioè non è una stroncatura, ma una semplice dissertazione fatta dall’antropologo che è in me. Questo cd è senza senso alcuno, ma è rivolto ad un target di persone che continuano ad acquistarli. Ascoltandolo però si fa largo la strana sensazione che il nostro mondo non sia reale. In quello vero tutte le cantanti si chiamano “La” (La Vanoni, La Zanicchi, La Mina, La Milva etc.) i signori possiedono belle fabbriche e non sono avventurieri da quattro soldi con i capelli phonati, la tv inizia le trasmissioni alle cinque del pomeriggio e termina a mezzanotte, perché per il resto basta la vita vera. Ci sono ancora le classi sociali è vero, ma tutti sembrano più o meno felici della loro condizione e non hanno voglia di uccidersi tra loro per avere qualcosa in più. Nel mondo vero il giorno e la notte si susseguono e non si vive in un continuo pomeriggio isterico e chiassoso. Qui la parola d’ordine è: fascino. Ecco allora che il cd prende senso, perché vi racconta la vita come dovrebbe essere, ma attenzione la nostalgia non c’entra nulla. Suonato benissimo e arrangiato meravigliosamente, l’ascolto ci fa scoprire che i brani vecchi sono migliori di quelli nuovi e che i cantanti di una volta (compreso Dalla, mai così bravo da 20 anni a questa parte) sono più bravi dei giovani; tutti però se la cavano bene, pollice verso solo per l’Eros nazionale, ma lì il caso è veramente disperato. Se vi vergognate di farvi sentire dal vostro vicino punkabbestia, o di vostro fratello rapper, od anche di vostra madre che per stare al passo con i tempi si è appassionata alla niu-niu-niu-ueiv, andate a farvi un giro in auto, alzate il volume, cantate a squarciagola e vi sentirete meglio.
(da Cacofonico nr. 58 del 11/08)