SPARKLEHORSE "Good morning spider" - EMI

Sarà la confusione di fine secolo, ma qui si capisce veramente poco… Prendete questi Sparklehorse: che tipo di musica fanno? A che scuola appartengono? Senza andare a guardare la carta d’identità, da dove vengono? E’ inutile, in pieno accordo con Lars Von Trier ed il suo Dogma 95, molte band hanno dichiarato la morte del “genere”. Solo che se da una parte è giusto, cadono le frontiere dei capitali, vengono infrante le ultime barriere del sesso, cessano i limiti del gusto, perché ci dovremmo dividere ancora fra mod e rockers, da un’altra parte si chiederebbe anche qualche certezza in più e questi Sparklehorse mi entusiasmano poco.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

SYSTEM OF A DOWN "SOAD" - Columbia

SPINESHANK “Strictly diesel” - Roadrunner
PULKAS “Greed” - Earache
NAPALM DEATH “Words from the exit wound” - Earache

Metallo, non metallo… direbbe un gruppo italiano che una volta abbiamo anche apprezzato e che subito ci ha puniti, rifilandoci prove mediocri ed un’arroganza da far sembrare il Cassius Clay dei tempi d’oro una specie di cardinale Martini. Comunque dimenticando i nefasti di casa nostra c’è da dire che c’è musica nuova nella cucina dell’inferno. Gli Spineshank ci mettono della buona volontà, ma nell’ormai vastissimo oceano del metal industriale arrivano tardino. Suonano bene, sono godibili, ma sembrano i Fear Factory dei poveri ed il loro brano migliore è una cover beatlesiana e questo la dice lunga su quanto quella musica sia ancora attuale. I Pulkas sono più classici, ma sono un gradino più in alto, sono violenti, puliti e precisi come il genere richiede, ma a differenza di altri, non stancano affatto, anzi ascoltandoli si avverte una benefica scossa elettrica alla spina dorsale. Più su ancora stanno i SOAD, band metal dalla attitudine punk (occhio… non hardcore…) il cui cantante sembra un incrocio fra il figlio di J. Biafra e della sorella di J Lydon (sempre che ne abbia una). Hanno anche una loro teoria sulle sorti della terra e parlano pure di rivoluzione. E’ arrivato il tempo di un bertinotti-metal? Comunque un gruppo su cui puntare per gli anni 2000. …e quelle vecchie canaglie dei Napalm Death? Prossimi alla pensione secondo alcuni, geni da rivalutare secondo altri; come al solito non ci prende nessuno, a parte noi ovviamente, che vi diciamo: grande band, indubbiamente.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

SPIRITUALIZED "Royal Albert Hall Live" - BMG

La foto di copertina è esplicativa: vista della Royal Albert Hall dall’alto; si desume quindi che i nostri amici stiano ancora fluttuando nello spazio. A dire il vero sembrano più che altro naviganti nel passato con un classico del rock antico: un doppio dal vivo, registrato in un tempio sacro degli anni che furono e con un titolo proprio da disco dal vivo. Il risultato però è portentoso: lunga durata e mai un attimo di noia (cosa che dell’ultimo album non si può dire). Gli Spiritualized più che riprendere a piene mani l’esperienza Spaceman 3, suona come avrebbero potuto suonare i Pink Floyd negli anni 70 se non fossero stati infettati dal virus imbecil-sinfonico, ma con un’attitudine molto moderna. Un disco da avere e consumare, anche solo per la conclusiva cover di “Happy day” che finisce sparata nella storia del rock.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

JON SPENCER BLUES EXPLOSION "Acme" - Mute/BMG

Non sono uno di quelli che considera Spencer un genio, ma sono uno di quelli che considera dei dementi quelli che considerano Spencer un genio. Il più importante mensile musicale alternativo (alternativo?) italiano ha votato “Acme” (che con i brufoli non c’entra nulla) disco dell’anno e poi gli stessi si chiedono come mai da noi il rock sia così arretrato. Niente di personale con l’amico Jon, che da poco è diventato babbo, ma molto contro coloro che credono noi dei “babbi” spacciandoci questa come la migliore delle musiche possibili. Il disco invero è godibile, ma nulla di trascendentale, se non in quei momenti in cui ricorda i Television, quello vero gruppo rivoluzionario…..
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

R.E.M. "Up" - WB

Una delle cose che si potevano chiedere a Babbo Natale era di riavere i REM di una volta, ma nessuno crede al simpatico vecchietto a parte me e pochi altri, così a sorpresa sotto l’albero ci siamo trovati, se non un fratello di “Green” o “Document” (“Sono magico, ma non sono Dio” mi ha detto il guidatore di renne) un disco decisamente piacevole e coraggioso. Sarà stata la vicinanza della morte, che ha sfiorato il batterista provocandogli uno “sciopone”, come si dice dalle mie parti, o che è stata, almeno nelle chiacchiere, compagna di viaggio di Stipe, dato per malato terminale più volte (certo, l’ultimo look alla Nosferatu e l’intima amicizia con mrs Love, che è stata la donna di Cobain, Buckley e del Cope prossimo all’internamento e che quindi porta più sfiga di una Prinz Verde carica di suore che ascoltano un nastro di Mia Martini, non devono aver giovato al suo karma…); oppure la stanchezza di essere ormai una multinazionale in odore di udue. Resta il fatto che finalmente, dopo ci troviamo con un album ascoltabile dall’inizio alla fine. Non badate alle cazzate che raccontano (i Beach Boys sono il più grande gruppo del mondo…) sono fuori di testa e forse, a loro sempre così controllati, lasciarsi andare un po’ fa sicuramente bene… ed anche a noi.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PORTISHEAD "Roseland NYC live" - Go!Beat/London

Il Bristol sound, o musica della pennichella, come la definiscono altri, è già alla ricerca di nuove suggestioni, così eccoli approdare i Portishead in terra americana con una simpatica orchestrina. La prima cosa che si nota però, è proprio l’assenza dell’orchestra, o meglio quanto poco essa influenzi la musica dei nostri eroi. Infatti oggi, diversamente dai tempi tragicomici di Deep Purple ed Emerson L. & P., non servono decine di professori attempati con tanto di controfagotto o viola d’amore per dare “pienezza di suono”, ma anche un idraulico con la terza media ed un campionatore può mettersi al posto di Maazel e dirigere la sua orchestra da cento elementi. I bristoliani (o bristo-lesi?) invece credono che il cuore sia tutto e così han pensato bene di inserire veri archi e veri fiati, anche se la mattatrice della serata, ancora più della splendida voce femminile è proprio lei, la chitarra elettrica, quella che tutti i digiei di questo mondo non riusciranno mai ad ammazzare.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PLACEBO "Without you I'm nothing" - Hut/Virgin

“Senza di te non sono nulla” Bellissimo titolo per questo album dei Placebo. A chi lo avranno sentito dire ? A Silvio, riferito a Bettino ; o ultimamente a Massimo riferito a Francesco ? Un titolo spassionato, come non se ne sentivano da tempo ed anche la musica è figlia di un decaderomanticismo oggi tornato di moda. Lungi però dal trovarci di fronte alla versione musicale del melò de “Le onde del destino”, questi efebici nerovestiti, inventano la grunge-wave, ma plagiando spesso, come tanti, i Cure ed i Joy Division, solo che lo fanno meglio di altri.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

METALLICA "Garage Inc." - Vertigo

Bella vita fanno i signori del metallo, nonché signori delle charts. Ogni tanto se ne escono con un dischetto, sempre gradevole, ma degno del principio economico MRMS, cioè Massimo Risultato con il Minimo Sforzo. Oggi riciclano il già riciclato, prendendosi così anche l’applauso dei verdi e si presentano con un vecchio album di cover assai ampliato. Chi si era perso l’originale è avvantaggiato, ma tutti, e non solo i metal kids, dovrebbero mettere le mani su questo doppio cd, per vedere come i quattro Cavalieri (che per fortuna loro non hanno ville con giardino zoologico ad Arcore) prendono il repertorio altrui di qualsiasi tipo, dall’hardcore militante dei Discharge, al blue collar rock di B. Seger, dal metal demoniaco dei Mercyful Fate, fino agli stra-classici sabbathiani e del simpatico Lemmy & co., e lo fanno loro fino al punto di poter pensare che di quelle canzoni siano proprio gli autori. 65+70 minuti di autentico spasso e di questi tempi è cosa rara.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

MARK LANEGAN "Scraps at midnight" - Sub Pop

Attendevo con ansia questo nuovo album di Lanegan, mai abbastanza lodato cantante solista e voce degli Screaming Trees, band già di per sé mai lodata abbastanza. Lo attendevo come si attendono quelle cose in grado di darci nuova linfa vitale, anche se “vitale” non è forse la parola giusta per Lanegan. Devo dire che sono rimasto un po’ deluso ed anche se mi fa piacere che qualche rivista, che generalmente sbaglia cavalli su cui puntare, lo abbia nominato disco dell’anno, non posso fare a meno di annotare che un’impronta marcatamente più “americana” non gli ha giovato. Un bel disco, ma il meno bello dei suoi solisti.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PJ HARVEY "Is this desire?" - Island /// HOLE "Celebrity skin" - Geffen

Polly non parla quasi mai, è timida. La Vedova Allegra invece ha la bocca sempre piena di parole oltre che di quegli attrezzi che in un mondo terribilmente maschilista come quello dello spettacolo (che lei dice di odiare) servono alle starlettine senza qualità come lei per risalire la china della notorietà. Qui ci troviamo di fronte a due opere speculari del rock di fin du siècle : un capolavoro ed una porcheria ; o se vogliamo : un lavoro alto ed un lavoro basso (tanto per stare in zona Lewinsky). Inutile disquisire sulle differenze tra le due signorine, più che altro vale la pena di notare come il crimine non paghi e che rubare le pagine di novella 3000 (ma non era 2000, una volta?) non serve per far scrivere il proprio nome sul grande libro della storia del rock. La differenza fra un’artista vera ed una baldracca senza talento sta tutta lì.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

BECK "Mutations" - Geffen

Sorpresa: un disco di Beck bello! Un disco di Beck che si riesce ad ascoltare dall’inizio alla fine! Grande gaudio, perché finalmente non mi sento più un deficiente, visto che tutti lo dipingevano come un genio ed a me faceva semplicemente esplodere i testicoli dopo un quarto d’ora! Queste “mutazioni” miglior titolo non lo potevano avere, perché ci troviamo di fronte ad autentici freaks musicali, dove tutta la cultura musicale americana viene presa, ribaltata, sezionata e mischiata, senza però le gigionerie noiose di altri album. Il buon Hansen infatti pensava di farne un’uscita indipendente, ma la Geffen gli ha dato l’alt, dimostrando quanto a volte le majors, spesso prese per il culo, abbiano migliori intuizioni degli artisti. Divertitevi: fra country, cha cha cha e gospel viene fuori un disco glam che, guarda caso, è il trend prossimo venturo….
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

ALTAMONT "Civil war fantasy" - Man's Ruin /// QUEENS OF STONE AGE "Q.O.S.A" - Man's Ruin

Sapete quanto io ami poco i revaivals, o meglio non sopporto quando, nei corsi e ricorsi della musica rock, qualcuno lucida qualche vecchio archibugio annerito dal tempo e lo spaccia per un fucile automatico nuovo di pacca. C’è una bella differenza tra la rivisitazione, la rivitalizzazione e la ricreazione (che non c’entra un cazzo, ma mi piaceva e ce l’ho infilata lo stesso) e questo lo sanno anche i tamarrissimi Altamont, che con un nome del genere non si potevano certo mettere a fare della new age. La loro fantasia da guerra civile la dice lunga sulle loro intenzioni. Ruvidissimo r’n’r con virate psichedeliche, un disco consigliatissimo, direbbero le riviste del settore. Leggermente deludenti i Kyuss-meno-uno, che ripropongono le melodie della casa madre, ma con una fase di appanamento, forse solo momentanea.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

AFGHAN WHIGS "1965" - Columbia

Si dice che il titolo sia nient’altro che l’anno di nascita di Dulli, ma per la cosa provo la stessa emozione e curiosità che mi suscita la nascita dell’Euro, (in poche parole: non me ne frega un cazzo…). La cosa importante è che il caro Gregg, insieme alla sua spocchia, o introversione dicono altri, che così tanto entusiasmo suscita in Pennello, non ha perso il suo smalto di compositore. Qualcuno ha parlato male del precedente “Black love”, ma non era in buona fede, soprattutto se invece ha trovato egregio questo “1965”, perché fra i due non ci sono grosse differenze. Non parliamo di pietre miliari, ma di una delle tante strade che il rock americano dovrebbe imboccare per evitare le secche creative di questi ultimi anni e vedere se, finalmente, succede qualcosa di nuovo.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"