GUNS’N’ROSES “Chinese democracy” – Geffen Records

Non avrei mai creduto di trovarmi a parlare dei Guns’n’Roses alla soglia dell’età pensionabile. Primo: difficilissimo che loro ci arrivassero. Secondo: non era detto che ci arrivassi io. In più a me sti capelloni, ancor più imbottiti di stereotipi che di droga, mi sono sempre stati sul cazzo. Detto quindi dell’assoluta inutilità di questo disco, vorrei però fare alcune considerazioni. Solo fino a dieci anni fa un’uscita di questo genere avrebbe fatto saltare il banco, oggi fa anche un po’ tenerezza e quindi mi sento in dovere di prenderla in considerazione. Si pensava che i Guns spogliati di tutto il “rumore” mediatico si sarebbero squagliati come il programma del PD ed invece il disco c’è, è lì, suona e non sfigura. Come, osserverà qualcuno, hai sputtazzato su tutti quelli che fanno della musica un’unica immensa operazione revival ed ora difendi sti zozzoni? E’ vero: non è certo un album da isola deserta, a parte il fatto che se ti trovi su un’isola deserta hai ben altri problemi che ascoltare musica, ma i Guns, anzi diciamo pure il solo Axl e nel discorso ci potremmo infilare i Metallica, spernacchiati dai più, ma affatto male nell’ultimo album, sono in possesso di una cosa rara: l’onestà verso i loro mezzi, una cosa che gli permette di essere ascoltati con animo sereno e senza alcun preconcetto. La musica è un guazzabuglio di Aor mischiato ad industrial solo in grado di evocare il fantasma di quello che una volta veniva definito street-rock, ma dateci un ascolto, male non vi farà. Se poi preferite i Mogwai è affar vostro (e del vostro psicologo di fiducia…)
(dal Cacofonico nr. 60 del 01/09)