TOM WAITS "Mule varations" - Epitaph /// DAVID SYLVIAN "Dead bees on the cake" - Virgin

Come avrete notato, mi sono preso un periodo sabbatico (ma non ho ascoltato solo Black Sabbath) di ripensamento, un po’ per farmi i cazzacci miei, ma anche per cercare un rinnovato entusiasmo nei confronti del mondo delle sette note. Niente da fare. Nulla riesce a togliermi dalla testa che l’ombra della mediocrità si sia ormai allungata su questi nostri anni e chissà quale intenso bagliore riuscirà a fugarla. Non ci riescono neppure questi due graditi ritorni (che con il mio, fanno tre). Due personaggi intensi e straordinari che per anni hanno allietato le nostre vite. Due voci indelebili che hanno scandito il trascorrere degli anni con una maturazione costante. Un americano molto più stimato in Europa ed un europeo che ormai da anni vive negli Usa. Strano destino quello di entrambi che culturalmente non li si potrebbe vedere più lontani l’uno dall’altro, ma che oggi li rivede così vicini al nostro cuore, che si vorrebbe duro, ma che è invece pieno di slanci sentimentali. Tutti e due hanno praticamente messo insieme un’antologia di brani inediti, dove hanno toccato quasi tutte le tappe del loro lungo cammino artistico. Waits apre dunque con un blues stralunato degno di “Rain dogs” e poi ritorna indietro fin quasi ai tempi del piano-bar alcolico che lo vedeva come l’unico santo in città, mentre Sylvian pesca alcune delle sue ballate intimiste e le intermezza con brani dall’etnia ad occhi a mandorla. Belli o brutti, sono comunque dischi che faticano ad invecchiare.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

RED HOT CHILI PEPPERS "Californication" - WB

“One hot minute” era stato spernacchiato dai più ed a torto ed il colpevole era stato individuato nel chitarrista che aveva sostituito l’altro chitarrista di cui non dico il nome per non cascare nell’ormai immondo giochetto di parole che fa il paio con il libro di Brizzi. Altro errore. Navarro è un ottimo strumentista, ma evidentemente su Californication lo stato di grazia è proprio di tutta la band. Ormai i RHCP hanno il loro stile e possono essere considerati sia per metodo di scrittura che per attitudine ai guai, l’ultima grande band degli anni settanta e vi giuro che per loro è un gran complimento.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

PRIMUS "Antipop" - Interscope

Antipop suona come dichiarazione d’intenti, ma non ce n’era bisogno. Abbiamo sempre saputo e “sentito” quanto le onde cerebrali di questa band fossero sintonizzate su stazioni ben lontane dal suono mainstream, ma nonostante questo, i loro dischi hanno sempre venduto ed i loro shows non sono mai andati deserti. Forse per questo hanno tenuto a puntualizzare. I Primus sono una delle poche band che non hanno ancora regalato un bel bidone ai loro fans sparsi per tutto il pianeta (ma siamo quasi certi che anche gli extraterrestri li amino molto, o più semplicemente, visto come suonano, sono proprio loro dei marziani) ed anche questa volta centrano il bersaglio. Antipop è più fisico degli ultimi album, dove la consueta attitudine funk non diventa mai e poi mai crossover e dove il metal delle migliori intuizioni si alleggerisce e si riveste di una grazia che non ha mai pensato di avere. Gli “amici degli amici” che qui compaiono, Morello, Hetfield e Waits aggiungono senza invadere e sicuramente si sono divertiti. Un grido arriva da lontano: “I’m the antipop the man you can not stop”
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

MOBY "Play" - Mute

Bravo ragazzo Moby, ma che dire della sua musica? A noi fa sempre una bella impressione, anche se oggi ci pare meno aggressivo di un tempo. Alcuni sostengono che non osi più come una volta ed infatti questo lavoro è stato molto meno incensato di altri, tipo quello dei fratelli chimici. Errore perché qui si toccano vertici assoluti, anche se il solito vizio di toccare trentamila generi diversi fa girare un po’ le palle. Moby comunque va avanti per la sua strada e, molto probabilmente, ha ragione lui.

"da Jammai nr. 32 - 11/99"

MARK LANEGAN "I'll take care of you" - Sub Pop

Anche la storia di Lanegan è assolutamente strana. A differenza di altri non è campato alle spalle del fenomeno “grunge” ed è andato avanti per la sua strada che, non solo da oggi, vuole dire tradizione musicale americana. Senza farsi le budella d’oro come i Raoul Casadei (a proposito chi è lo vuole trasformare in un grande artista?) di Nashville ovviamente, perché la sua è una strada oscura ed accidentata e per niente lastricata di buone intenzioni, anche se porta sicuramente all’inferno visto che il primo brano porta la firma di tal J. L. Pierce, che ovviamente non sto a dirvi chi è. Tra un traditional ed un brano di Tim Hardin, da uno come lui ci si aspetta sempre tantissimo ed il rischio di restare delusi è grande, ma la forza che mette in queste canzoni è quasi commovente.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

LEFTFIELD "Rhythm and stealth" - Sony

Tutto qui? Ci sarebbe da chiedere, perché tutti questi anni di attesa sono stati troppi veramente e neanche se ci avessero consegnato una sorta di sergente pepper o di chissà quale altro alchemico capolavoro, forse saremmo rimasti soddisfatti. Troppa acqua è passata sotto i ponti e quello che ieri era l’avanguardia è stata scavalcata a sinistra da un mucchio di musicisti ed oggi c’è poco da sorprendersi in questi solchi. Bel lavoro sicuramente (e con 26280 ore a disposizione vorrei anche vedere…) con i soliti guests che vanno dalla storia con la esse maiuscola di Afrika Bambaata (che l’abbia raccomandato Lydon?) al guaglione degli Almamegretta, ma niente che ci consenta di gridare al miracolo, almeno questa volta.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

KORN "Issues" - Epic

Molti hanno smesso di amare i Korn, o non li hanno amati perché si sono dimostrati da subito un gruppo di straordinario successo. Meglio parteggiare per i Machine Head che restano un gruppo di culto, anche se infinitamente meno talentuosi. Certo i Korn di oggi sono meno sorprendenti che all’esordio e si trovano sulle spalle anche una serie di figli illegittimi che neppure volevano, ma restano tra i pochi capaci di colpire con questa intensità. Lungi dal fare la fine dei Therapy? si sono notevolmente affinati, senza perdere però un briciolo di quella forza che li ha fatti diventare una delle band americane più importanti degli ultimi anni. Ci omaggiano anche di un grazioso cd con remixes e brani live, li ringraziamo, ma la prossima volta lo regalino ai loro cuginetti, perché di cacate stracotte come quella non sappiamo che farcene.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

CLASH "From here to eternity" - Sony

Anni fa un Dylan tutt’altro che santificato, interrogato sul perché non si facesse sponsorizzare i tour dichiarò: “Quando lo faranno i Clash, lo farò anch’io” quell’altro ragazzino di Neil Young invece spinto a dire la sua sull’ennesima paventata riunione di CSN&Y, più o meno nello stesso periodo, sbottava: “Preferirei suonare nei Clash”. Grande gruppo i Clash, una band di cui oggi si sente la mancanza, in un mondo dove tutti sono sponsorizzati e che, orrore, le cariatidi di vudstocc filano in classifica al pari dei Korn o Limp Bizkit (e ce sta pure Tom Jones). Si sente la mancanza di loro anche se in barba anche alla loro coerenza a suo tempo dichiararono: “Non faremo mai album live!!”…ed eccotelo qua, ma questa volta han fatto bene. Da qui all’eternità ci commuoveremo con questi quattro cazzoni che aprivano i tour americani con “I’m so bored of USA” e mischiavano musiche bianche e nere già più di vent’anni fa. E coloro che hanno conosciuto il punk solo grazie ai Green Day, si chiederanno dopo: “…ma chi sono i Green Day?”
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

BRUTAL TRUTH "Goodbye cruel world" - Relapse

Se ne va l’anno, il secolo e forse il millennio, ma se ne vanno anche i Brutal Truth che titolano la loro ultima opera con una certa retorica, ma a noi la retorica in fondo è sempre piaciuta. In questi anni hanno tenuto alta la bandiera di un musica estrema tesa alla sperimentazione che non era però violenza griffata, come tanti satanisti da copertina, ma vera esperienza del male di vivere che circonda la nostra epoca, tanto per stare nel campo della retorica. Live fiume questo, che straripa dalla voglia di dire. Si sono fermati forse per non diventare anche loro dei buffoni di corte ed anche per questo li ammiriamo.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"