MAURIZIO POLLINI “Chopin Nocturnes” – Deutsche Grammophone

Già vi sento: “Ecco che Tragic si è rimbambito, la prossima volta ci recensirà Cremonini” oppure “Il solito coglione-snob che vuol far vedere di essere intelligente ascoltando la classica...” Pensate quello che vi pare, ma non è che in giro ci siano grandi capolavori e la musica di Chopin è moderna perché è partito dal folklore polacco per poi sposare i suoni del mondo di allora, in una parabola artistica che può ricordare quella di Dylan e Waits. Dimenticate poi gli smoking e le campionesse di lifting scolpite dalla lacca e strafatte di cipria. Lasciate perdere i lampadari giganteschi e il velluto ammorbante delle poltrone. Pollini è un grande sul serio che ha portato la sua arte dentro le fabbriche ed ha suonato per operai, studenti e contadini. Il suo impegno contro la guerra è partito dal Vietnam ed è arrivato fino all’Iraq dei giorni nostri, facendo saltare le coronarie a più di un nazi-palchettista. Il suo tocco straordinario ci riconcilia con un mondo fatto di armonie non solo musicali ed è l’arma migliore contro tutte le guerre, non solo quelle con i fucili e l’elmetto. Il peggior nemico dei nostri tempi è il cinismo, ascoltando questi Notturni ve lo dimenticherete.
"da Cacofonico - 12/05"

FRANZ FERDINAND “You could have it so much better” – Domino

Perché parlare male di un disco piacevole? Perché no, dirà qualcuno; ma noi più che parlar male del pezzettino tondo di plastica che inseriamo nel lettore, ce la prendiamo con la band. Se in 40 anni siamo passati dai Baronetti agli “sboronetti” nel brit-pop un motivo ci sarà; così dopo i grandi gruppi del passato che innovavano senza accorgersi di nulla, sulla nostra strada abbiamo incrociato band che facevano grandi proclami e piccoli dischi. Prendete i membri di questa band che prende il nome da un imperatore austriaco ed è la meno mitteleuropea del mondo; vanno in giro a dire che l’unica cosa che interessa loro è fare cose diverse dagli altri. Noi siamo disposti a credergli, poi la superhit “Do you want to” non è altro che lo sdoganamento di “Supe-Superman” di Miguel Bosè, “Walk away” è un plagio dei Kraftwerk, nel riff di “What you meant” ci potreste tranquillamente cantare “guida la mia macchina!” senza problemi e “I’m your villain” è praticamente “Miss You” degli Stones. ...e allora? Allora, ascoltatelo (fino in fondo perché, ottimo caso di antimarketing, i brani migliori non sono all’inizio...) canticchiatelo, ballatelo e vi divertirete sicuramente, ma se volevate un disco non beatlesiano, con ritmiche stonesiane e spruzzate velvettiane, lasciate stare questo disco e recuperate quello degli House of Love di qualche mese fa, loro sì degli innovatori.
"da Cacofonico - 11/05"

LIGABUE “Nomi e cognomi” - WB

Ligabue, ovverossia la SuperValutazione dell’usato. E sebbene si tratti di usato sicuro, (sicuro nel senso che questo disco venderà sicuramente, mi augurerei non fosse così, ma è più facile credere in una diminuzione del prezzo della benzina) possiamo essere certi che parole come hip-hop, post-rock, grunge od altre che hanno fatto avanzare in qualche modo la storia della musica, siano a lui del tutto sconosciute. Qui siamo all’età della pietra del rock, dove, come in tutti gli altri album, si alternano il classico “pezzotirato” e la “ballataintimista” per un totale di undici brani assolutamente uniformi, con testi infarciti di frasi fatte. Il Luciano più magro della musica retorica emiliana non rischia nulla e si mostrerà come sempre vincente (ed è strano per un interista...), nonostante qualche giorno fa abbia trascinato duecentomila persone davanti ad una radiolina. Non è un genio, ma lui lo sa e per questo il primo brano attacca come il più famoso dei Nirvana ed il secondo ha un giro “gansendrosis”, così resta sempre in quella posizione ruffiana, ma redditizia, tra finta indipendenza e mainstream. Vuole un nome ed un cognome? Perfetto: Gianluca Grignani ha molto più talento di lui!

WHITE STRIPES “Get behind me Satan” – XL/ Self

I Cacofonici, nonostante la calura, mi chiedono uno sforzo ulteriore ed ecco allora che…. sssiore e ssiori vi proporremo un numero mai tentato prima! Recensiremo quest’album senza averlo mai ascoltato!!!! (In verità lo fanno in parecchi, poi gente come Luzzato Fegiz che ascolti un disco oppure no, capisce uguale) Dalla copertina già si può intuire che questo duo (vai con il tormentone: marito e moglie? Fratello e sorella? Cugini da parte di madre? Schiava e padrone? Casalinga ed idraulico? Ma a chi cazzo possono interessare queste storielle?) è ad un svolta che segue quella del disco precedente ed a forza di svoltare sono sempre lì allo stesso punto. I tredici brani non presentano grandissime novità ed il suono resta a metà strada fra il folk urbano, che molti definiscono stiloso e chincaglierie blues alla Beck che mandano in brodo di giuggiole gli “alternativi”. Un disco ruffiano che sta con un piede nel mainstream e l’altro nell’indipendenza (non la Guerra interpretata guarda caso dal buon Jack White attore), ma può piacicchiare e di più alla musica di oggi è difficile chiedere, soprattutto da stelline dell’indie come queste, che non saranno mai capaci di scaldare veramente il cuore.
"da Cacofonico 08/05"

Live 8 o Live Cotto?


Molti di voi sapranno che io non amo affatto i concerti. Li trovo un rito arcaico ormai desueto quanto il loro nonno, il circo equestre, ormai fortunatamente quasi scomparso, e la loro mamma, l’opera lirica, che invece ancora succhia soldi pubblici che potrebbero essere destinati a miglior sorte. Non me ne vorrà l’amico Pennello a cui non è il pene a dare il pane, ma proprio questi avvenimenti sudaticci/mondani. Ogni tanto qualche avvenimento degno di nota c’è, ma non è certo il caso del Laivotto. Come sempre qualcuno si alzerà per dire: ma l’importante è aver segnalato al mondo i problemi di…, ma è una cazzata, la musica è la cosa più importante e non può essere usata come scusa da chi in un anno prende più royalties del PIL di due paesi del quarto mondo. In più se volessero fare delle cose serie, dovrebbero stracciare i loro contratti miliardari stipulati con major azioniste di fabbriche d’armi o rinunciare agli spot pubblicitari di aziende che con interessi in campo petrolifero foraggiano sanguinose guerre. Si potrebbe anche obiettare che Geldof ha organizzato questa kermesse per rilanciare la sua inesistente carriera, ma i simpatici subsahariani (a cui va ovviamente tutta la nostra simpatia ed il nostro rispetto) dovrebbero soprattutto preoccuparsi perché dal Live Aid del 1985 in qua le cose per loro sono addirittura peggiorate. “Cancellare il debito” è solo un insieme di parole ripetute allo sfinimento che non significano nulla, sarebbe molto meglio stanare i tesori nascosti alle Isole Cayman o nella civilissima Svizzera di quei dittatori feroci a suo tempo sostenuto dai governi occidentali. Per quanto riguarda il lato musicale è stato pure peggio della dissenteria, autentica piaga dei paesi africani. L’accozzaglia dei buoni sentimenti trasportati dalle limousine sui palchi, ha prodotto il nulla, che è la vera cifra stilistica della nostra epoca; non per niente, Coldplay a parte, le canzoni più belle avevano minimo vent’anni. C’è da dire che gli italiani hanno brillato come sempre per pochezza, non tanto per la qualità artistica (Renato Zero è un performer migliore di Robbie Williams, Mayala Carey fa sempre rimpiangere la Pausini) quanto per quella organizzativa, che non va mai oltre la sagra di paese. Qualche perla nel letame si è vista, come Bjork dal Giappone, o la conclusiva “One hundred years” (un messaggio di speranza, eh Smith?) dei Cure da Parigi. Per il resto è film dell’orrore puro, in versione multitasking sul satellite, che ci ha permesso di non perderci la “Roma capoccia” di Venditti con Baglioni e Britti (che non sapevano il testo), come il pistolotto ecumenico di papa BONOdetto XVI. Bizzarrie sparse: i REM non ispirati guidati da Stipe mascherato da Paperinik e l’assurdo coro di elogi per Madonna, il cui successo, a proposito di avventi mariani, è il quarto segreto di Fatima, perché non sa cantare, non sa ballare ed ha lo stesso sex-appeal di Livia Turco. Però in mezzo a tutta questa miseria il miracolo è veramente avvenuto, Mosè ha diviso le acque. Passata la mezzanotte, ecco sul palco quattro vecchi, vestiti come possono esserlo solo i musicisti di un dopolavoro ferroviario alla festa del patrono, in barba al marketing imperante che pezzi di merda come Chiambretti fingono di irridere. Il repertorio è composto da canzoni talmente note che le canta anche il tuo comodino e tutti sono lì pronti a farsi una grassa risata, ma la serata, anziché grondare torrido sarcasmo, si illumina di magia. La Freccia del Tempo scocca in senso contrario e va verso un’epoca perduta quando il rock era veramente il Verbo e torna indietro per suscitare a molti antiche e sopite emozioni ed a quelli che ancora nel 1981 erano casomai niente più che spermatozoi stupore per non aver mai ascoltato cose simili nel band coeve. Ecco allora che le cose finalmente hanno un senso e ci sentiamo meglio, non tutto il tempo dedicato a questo enorme karaoke è stato sprecato e dopo un fiume di parole inutili, parole importanti, ma assolutamente sprecate e svuotate come bontà, cinismo, solidarietà, evento, fame, debito, povertà… ci accorgiamo di aver dimenticato da tempo la più importante: leggenda.
"da Cacofonico 08/05"

MORGAN “Non al denaro, non all’amore, nè al cielo” – Sony /// COLDPLAY “X&Y” - Parlophone/EMI

… e se vi dicessi che De Andrè è sopravvalutato, voi mi tirereste quello che vi capita fra le mani, vero? Probabilmente avete ragione, allora diciamo che le canzoni di De Andrè sono tra quelle che risentono maggiormente dell’usura del tempo. Si potrebbe aggiungere che ognuno ha le star che si merita (come il governo… ma che cazzo di peccato mortale abbiamo commesso poi…) così qui ci troviamo di fronte ad un connubio gossiparo di cantanti + attrici (anche se definire Asia Argento un’attrice è come dire che un portabiciclette è una scultura o che Castelli è un ministro…) ma le consonanze si fermano qui. Sui Coldplay, alle prese con il difficile terzo album (quello che per i veri giornalisti segue il difficile album d’esordio ed il difficile secondo album) la stampa specializzata era pronta a sparare a zero, ma Martin & soci li han messi a sedere, così al massimo si è parlato di noia, come i critici musicali di Repubblica (perché Repubblica ha dei critici musicali???) od il New York Times che poi casomai sbava dietro ad un posteggiatore abusivo di nome James Burp o Blunt che sia. I migliori però sono quelli di R. Stone Italia (questo sì un gran periodico, con quei bei fogli grandi e resistenti, perfetti per incartarci il pesce) che rovesciano il mondo, snobbando i Coldplay ed incensando il lombardo Castoldi . Voi fidatevi solo del Cacophonico perché anche se “X&Y” non è un capolavoro assoluto, non ha una sola canzone da buttare e raccoglie le migliori sensazioni della musica inglese, dai Beatles ai Radiohead, passando per new-wave ed House of Love (a proposito è uscito da qualche mese un nuovo bellissimo album…). Non credete alla chiacchiera che vede “X&Y” un lavoro al servizio del suo leader, perché in verità la musica dei Coldplay è una perfetta alchimia di giri armonici, ritmi e melodie unica al mondo. Teneteveli stretti, a meno che in futuro non ci tradiscano come quei tromboni degli U2 ed alle prese con il “difficile” quarto album anziché darci uno Zo-So e ci rifilano una coglionata stile “fuoco indimencabile”. Badate solo alla musica, che in un disco ha ancora la sua importanza e lasciate i giochini da intellettuali a quelli che danno le lauree honoris-causa a gente come Vasco Rossi (di cui comunque ringraziamo i fans per aver preso a bottigliate le Vibrazioni ed i Velvet…) mentre fanno morire nella miseria Lauzi ed Endrigo… fidatevi, anche De Andrè sarebbe d’accordo….
"da Cacofonico - 07/05"

SYSTEM OF A DOWN “Mezmerize” - American/Columbia

Proletari di tutto il mondo unitevi!! La notizia è questa: il principe Alberto di Monaco, da sempre avvistato al fianco delle più grandi supertope del pianeta, ha messo incinta una cameriera ed una donna delle pulizie. Della serie: se vuoi scopare bene, devi andare dalle donne del popolo; nemmeno Fromm in “Marx e Freud” era arrivato a tanto. La questione si ripropone con i SOAD, che come immigrati armeni nella ricca terra hollywoodiana potevano al massimo aspirare ad una grande carriera di lavamacchine o scippatori ed invece sono diventati delle stelle del metal. Il nuovo disco in parte, parla proprio di questo, ma l’argomento è presente in tutta la loro musica. L’etnia degli armeni (ricordiamolo perché fa bene: prime vittime di uno sterminio di massa nel secolo scorso ad opera dei Neo-Europei Turchi, che continuano a negare) non è presente in senso di musica folk, ma come strana forma di follia che si estende da tutti i paesi balcanici fin verso l’Asia, dove tutto si accumula, si mischia, si cancella per poi rinascere sotto nuova forma. Del resto in ogni canzone dei SOAD ci sono idee per almeno un paio di lp e noi fai in tempo a scaldarti muscoli su un riff nu-metal che devi già memorizzare un ritornello funkeggiante e quando l’hai fatto i nostri sono già in un’opera lirica. Mezmerize accentua ancor di più dei dischi precedenti questa tendenza, arrivando quasi alla schizofrenia ed in un ossatura granitica entrano ed escono riferimenti new wave, punk ed hardcore, più qualche peccato veniale come una ballata di marca Hetfield che però è fatta talmente bene, da non potersi confondere con i tanti Petallica (i Metallica fatti col culo) che invadono i canali satellitari musicali. Proletari di tutto il mondo, siamo di fronte ad una band più anarchica che comunista, ma se oggi volete apprezzare lo spirito che fu dei PIL e dei Dead Kennedys, unitevi ai SOAD.
"da Cacofonico 06/05"

AFTERHOURS “Ballate per piccole iene” – Mescal /// MARLENE KUNTZ “Bianco sporco” - Virgin

Se un miracolo l’ha fatto questo papa è stato per il giorno del suo funerale, quando incredibilmente Radio Deejay ha smesso di trasmettere della musica di merda ed ha dato spazio a musicisti di assoluto valore che vanno dai vecchi Rolling Stones (non certo la multinazionale del gerovital di oggi) ai Coldplay, dai migliori REM ad addirittura Janis Joplin, passando per Dylan, di cui, per non far mancare il loro greve senso dell’umorismo, adatto al loro pubblico di brufolosi adolescenti incapaci di incrociare due congiuntivi (tanto per la PS2 non servono...) hanno trasmesso “Knockin’ on heaven’s door”. Detto questo sulle nostre radio, perché ultimamente è capitato ascoltare tra qualche “tunza-tunza” alcuni brani delle due MBRI (Migliore Band Rock Italiana). Non è che sulla nostra FM si sono messi a cagare l’intelligenza, semplicemente cercano altre strade, ma credendo di fare un favore alle due MBRI, in verità le danneggiano, perché anch’esse non riescono ad elevarsi oltre l’omogeneità diffusa. Qui non si tratta di evidenziare la ormai acquisita inferiorità del rock italiano in generale, quanto cercare di capire perché il periodo sia così avaro di creatività. Idee che arrivano dall’ormai onnipresente mondo della tv (anche i titoli...), canzoni da cantautorame mischiate al suono rock d’oltreoceano con cui si sonorizzano anche i programmi per i bambini (ve lo giuro: Audioslave su RaiSat Ragazzi!); echi di formazioni grandissime come i Matia Bazar ed i troppo citati Area a loro tempo snobbate e comunque irraggiungibili per questi pseudo-talenti. Tutto insieme per un cocktail non indigesto, ma semplicemente inoffensivo, la cosa peggiore per un gruppo rock. Sono esterofilo? Sì, è vero... e allora? Nessuno in tutti questi anni è mai riuscito a smentirmi.
"da Cacofonico 05/05"

BECK “Guero” – Interscope/Geffen

Alle ultime elezioni, quelle regionali, quelle che secondo qualcuno non avrebbero avuto alcun contraccolpo, per chi avrebbe votato Beck? Conoscendo la sua indole “slacker” probabilmente avrebbe optato per l’astensionismo, oppure sapendolo vegetariano e salutista, per i Verdi (perché c’è un partito dei Verdi in Italia?). Ascoltando il primo brano però troviamo un brano radiofonico furbo e ci vengono in mente alcune astuzie pannelliane, anche se poi gli EMF saranno là fuori a cercare il signor Hansen per fargli un culo così (ma è la moda: sul satellite gira una magnifica versione di “Unbelievable” in croato...). Alcuni brani successivi, di stampo terzomondista rafforzano l’idea di un Beck vicino a Bertinotti, ma il sintetizzatorino di “Girl” ci riporta ai Righeira, noti simpatizzanti di destra e la voce di “Missing” va direttamente allo Sting molto amato dai socialisti negli anni 80, oggi obbligatoriamente forzitalisti. Se ci aggiungiamo alcune suggestioni r’n’b sparse per il disco, ci ricordiamo che il ministro leghista Maroni è un grande appassionato di questo genere e la confusione aumenta. L’attacco di “Farewell ride” poi rimanda agli Zeppelin che, si sa, erano impregnati di umore celtico, così anche Bossi è contento (sempre che riesca ad accorgersene), mentre altri brani sono proprio acqua nemmeno-troppo-fresca, come le idee di Rutelli. Insomma, dove collocare questo Beck, che sembra non star bene nel mainstream, ma rifugge anche il prototipo dell’alternativo? La risposta è però evidente, perché solo sotto il vecchio scudo crociato ci si trovava tanto eclettismo, inteso però come capacità di stare con tutti e con nessuno. Così gira e rigira, l’abbiamo scoperto: la musica di Beck è musica democristiana!