SYSTEM OF A DOWN "Toxicity" - Columbia

Quando un gruppo “alternativo” (odiosa parola, soprattutto che di alternativo non c’è più nulla) diventa velocemente un classico, ecco che certa stampa storce il naso. Da sempre la critica musicale si batte per le minoranze più o meno etniche e supporta i beatiful losers così come il WWF si batte per la sopravvivenza del Fringuello Nano della Val di Non. Nulla da eccepire, ma se è vero che la sinistra al potere non è più stata in grado di essere sinistra, è altrettanto palese che la stampa musicale non è in grado di essere critica quando trova uno dei suoi beniamini nelle charts. Si sospetta immediatamente, si punto il dito contro la emtivizzazione del suono alternativo e via a banalità del genere. Toxicity è talmente bello da non aver bisogno di parole di accompagnamento, ma visto che lo snobismo è sempre dietro l’angolo, ci sembra giusto difenderlo. Chi parla di già sentito ha ragione, ma anche questa è una discussione ritrita quanto i programmi televisivi di Santoro. Dietro questi quattro folli c’è tutta la storia della musica, ma non è colpa loro se hanno esordito a quasi cinquant’anni dalla nascita del r’n’r. La carica che esce da questo lavoro è unica, che poi uniscano idee di Metallica, Primus, Soundgarden e Korn è solo un gusto da musiquephiles e se i loro brani sono praticamente psicodrammi che vanno dagli incubi degli Alice in Chains a quelli dei Tool, come e soprattutto in “Chop Suey” (nonostante uno dei videoclip più brutti mai visti…) li iscrive nella lista di coloro che hanno segnato il suono estremo di questi anni. Dei giganti, sul serio.

PLACEBO "Black market music" - Hut/Virgin

Non so in che rapporti siano con la stampa i Placebo, ma credo che non siano idilliaci. Il sospetto mi viene dal fatto che i dischi di questa band che prende a piene mani dalla new-wave, sono troppo interessanti per interessare veramente i critici (quelli veri, quelli che ricevono i dischi gratis, quelli che vanno alle feste delle case discografiche, quelli che non scopano mai…) e poi il Brian bambino/bambina non fa più notizia. Forse è un problema sentimentale ed in questi tempi cinici non c’è più spazio per il romanticismo. Si è parlato molto (troppo) della chitarra rotta a Sanremo, ma poco di chi invece ha rotto il cazzo presentando quel circhetto di puttane di periferia ed incassando miliardi per parare poi del cantante il signor Placebo. Complimenti! Ma siete ancora disposti ad ingoiare tutta questa merda? Sì, allora come direbbe Moretti, i Bluvertigo (che pur pescando nello stesso mare di Molko & Co., non tirano su le perle, ma le scarpe rotte) ve li meritate proprio!
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/00"

BJORK "Selma Songs" - Polydor/Universa

PJ HARVEY “Stories from the city, stories from the sea” - Island
MINA “Dalla terra” - PDU
MADONNA “Music” – Maverick/WB

Quattro Superdonne/Superstars Quattro, alle prese con quattro lavori, assolutamente diversi per stili ed intenzioni, ma praticamente identici nel risultato: una certa, strana, sensazione deludente. Sicuramente stelle nel proprio firmamento, questi dischi sembrano realizzati per cercare un’affermazione al di là dei propri confini. Le quattro grasse vacche cercano di brucare erba diversa dai pascoli abituali e fan bene, ma da che cosa sono spinte? Polly, la più cara a noi tutti, da tempo cerca più che una consacrazione definitiva, una strada lastricata di belle canzoni che però la tolga dalla scomoda situazione di eterna reginetta dell’alternative. Ci ha provato in varie maniere, ma il ruvido smalto degli esordi si è un po’ appannato e questo disco che si può definire di anti-drum’n’bass, visto che la base ritmica è inesistente o sepolta, non aggiunge molto al suo palmares. Trottolino Islandese invece gioca una carta importante, unendo le indubbie doti canori a quelle d’attrice. Nulla da dire: “Dancer in the dark” è un signor film, compreso quel tanto di astuzia commerciale che aiuta anche le opere più off, ma comunque ruffiane. Si è parlato eccessivamente dell’interpretazione di Bjork, che confusa in mezzo alle pieghe melodrammatiche del film è stata definita anche strabiliante, ma se la si confronta con la Emily Watson de “Le onde del destino” la distanza diventa siderale. Bene farebbe Bjork a non desistere dall’idea di interrompere qui la sua carriera d’attrice, lascerebbe un buon ricordo. Le canzoni però sono belle, anche se con qualche vizio orchestrale di fondo e lei è indubbiamente brava. A proposito di bravura torniamo a quella che Liza Minelli ( oh, mica quella laringomaniacafaringoassatanata di Giorgia o Elisa, la regina della forfora!) ha definito la più grande di tutte: Mina Mazzini. Bella e coraggiosa l’idea, ma alla fine il risultato è da sagra della ciambella, forse perché la Tigre di Cremona che ora vive a Brescia, come sue abitudine tratta tutti i repertori con leggerezza ed umorismo (una dote nel maggiore dei casi) ma che qui richiedeva un’introspezione più profonda. …e poi sarebbe ora di togliersi dalle palle tutti quei collaboratori che la seguono da un secolo! Dulcis (per modo di dire) in fundo, la signora Ciccone, che poco più in là dei quaranta, cerca una nuova immagine (l’ennesima!), ma soprattutto un nuovo pubblico. Diciamo subito che i dischi sa farli, o meglio è brava a scegliersi musicisti ed arrangiatori così come è brava a far parlare di sé, ma manca sempre qualcosa che la faccia entrare nell’olimpo delle grandi e pensare che le doti non le mancano e si impegna, vedi la versione unplugged del Letterman Show. Comunque dopo aver sposato il Muccino inglese ed aver fatto un figlio con lo stesso nome di Siffredi (o era in onore di Bottiglione, o forse del paron del Milan, sempre politica è…) aspettiamo qualcosa di più succulento. Il futuro è donna? Per ora ancora no.
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/01"

JIM CARROLL "Runaway" - Kill Rock Stars

Jim Carroll? Quel Jim Carroll? La new-wave? Quella new-wave? Sì, perchè di nuove ondate ce n’è una ogni dieci minuti… allora siamo a New York e va finire che da qualche parte ci sono pure i patetici (come li ha definiti un cervellone su un giornalone) Television. Allora si tratta proprio del ragazzo cattolico uscito dal campo di basket ed entrato in una rock-band per una sveltina di cinque canzoni che ci porta brividi dimenticati ed indimenticabili. Così si suona e si suonerà sempre il più puro e tagliente rock’n’roll! Speriamo si tratti solo di un antipasto…..
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/00"

BLONDE REDHAED "Melody of certain damaged lemons" - Touch and Go

Rock italiano ‘sto cazzo! Due lombardi (che già per qualcuno non è Italia…) che han vissuto più di vent’anni tra Canada e States ed una giapponese, hai voglia di scavare tu per trovare le radici… Comunque di questo disco non volevo parlare, finchè non hanno iniziato a raccogliere allori un po’ ovunque. Probabilmente è invidia, forse è dello stesso tipo di invidia che i sostenitori del nanetto di Arcore, imputano ai loro nemici quando vedono uno ricco, già è probabile, ma resta il fatto che questo disco è sì carino, ma farlo uno dei migliori dell’anno fa proprio ridere. I Blonde Redhead, sono il sottoprodotto di una sottocultura sotterranea che ci ha dato bellissime cose, però il loro è anche un sottotalento che non li fa certo brillare. Le trame sonore sono graziose, ma non sono altro che un’allegra gita nei campi “sonici” (ecco, la parolaccia mi è scappata!). Va a finire che se restavano a Milano non se li filava nessuno….

"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/01

ALICE IN CHAINS "Live" - Sony

Si sa, sentire gli AIC dal vivo non è altro che ascoltare un loro disco in mezzo al pubblico. Poche le variazioni, identiche le atmosfere. Allora perché andarli a vedere (ammesso che il cantante riesca a stare in piedi…) od addirittura acquistare il live-album? Forse perché loro ne hanno fatto uno solo e non trecentosei come i dannati Pearl Jam ed in più le loro canzoni sono più belle.
"da Jammai nr. 38 - 01-02-03/01"