TOM WAITS "Mule varations" - Epitaph /// DAVID SYLVIAN "Dead bees on the cake" - Virgin

Come avrete notato, mi sono preso un periodo sabbatico (ma non ho ascoltato solo Black Sabbath) di ripensamento, un po’ per farmi i cazzacci miei, ma anche per cercare un rinnovato entusiasmo nei confronti del mondo delle sette note. Niente da fare. Nulla riesce a togliermi dalla testa che l’ombra della mediocrità si sia ormai allungata su questi nostri anni e chissà quale intenso bagliore riuscirà a fugarla. Non ci riescono neppure questi due graditi ritorni (che con il mio, fanno tre). Due personaggi intensi e straordinari che per anni hanno allietato le nostre vite. Due voci indelebili che hanno scandito il trascorrere degli anni con una maturazione costante. Un americano molto più stimato in Europa ed un europeo che ormai da anni vive negli Usa. Strano destino quello di entrambi che culturalmente non li si potrebbe vedere più lontani l’uno dall’altro, ma che oggi li rivede così vicini al nostro cuore, che si vorrebbe duro, ma che è invece pieno di slanci sentimentali. Tutti e due hanno praticamente messo insieme un’antologia di brani inediti, dove hanno toccato quasi tutte le tappe del loro lungo cammino artistico. Waits apre dunque con un blues stralunato degno di “Rain dogs” e poi ritorna indietro fin quasi ai tempi del piano-bar alcolico che lo vedeva come l’unico santo in città, mentre Sylvian pesca alcune delle sue ballate intimiste e le intermezza con brani dall’etnia ad occhi a mandorla. Belli o brutti, sono comunque dischi che faticano ad invecchiare.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

RED HOT CHILI PEPPERS "Californication" - WB

“One hot minute” era stato spernacchiato dai più ed a torto ed il colpevole era stato individuato nel chitarrista che aveva sostituito l’altro chitarrista di cui non dico il nome per non cascare nell’ormai immondo giochetto di parole che fa il paio con il libro di Brizzi. Altro errore. Navarro è un ottimo strumentista, ma evidentemente su Californication lo stato di grazia è proprio di tutta la band. Ormai i RHCP hanno il loro stile e possono essere considerati sia per metodo di scrittura che per attitudine ai guai, l’ultima grande band degli anni settanta e vi giuro che per loro è un gran complimento.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

PRIMUS "Antipop" - Interscope

Antipop suona come dichiarazione d’intenti, ma non ce n’era bisogno. Abbiamo sempre saputo e “sentito” quanto le onde cerebrali di questa band fossero sintonizzate su stazioni ben lontane dal suono mainstream, ma nonostante questo, i loro dischi hanno sempre venduto ed i loro shows non sono mai andati deserti. Forse per questo hanno tenuto a puntualizzare. I Primus sono una delle poche band che non hanno ancora regalato un bel bidone ai loro fans sparsi per tutto il pianeta (ma siamo quasi certi che anche gli extraterrestri li amino molto, o più semplicemente, visto come suonano, sono proprio loro dei marziani) ed anche questa volta centrano il bersaglio. Antipop è più fisico degli ultimi album, dove la consueta attitudine funk non diventa mai e poi mai crossover e dove il metal delle migliori intuizioni si alleggerisce e si riveste di una grazia che non ha mai pensato di avere. Gli “amici degli amici” che qui compaiono, Morello, Hetfield e Waits aggiungono senza invadere e sicuramente si sono divertiti. Un grido arriva da lontano: “I’m the antipop the man you can not stop”
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

MOBY "Play" - Mute

Bravo ragazzo Moby, ma che dire della sua musica? A noi fa sempre una bella impressione, anche se oggi ci pare meno aggressivo di un tempo. Alcuni sostengono che non osi più come una volta ed infatti questo lavoro è stato molto meno incensato di altri, tipo quello dei fratelli chimici. Errore perché qui si toccano vertici assoluti, anche se il solito vizio di toccare trentamila generi diversi fa girare un po’ le palle. Moby comunque va avanti per la sua strada e, molto probabilmente, ha ragione lui.

"da Jammai nr. 32 - 11/99"

MARK LANEGAN "I'll take care of you" - Sub Pop

Anche la storia di Lanegan è assolutamente strana. A differenza di altri non è campato alle spalle del fenomeno “grunge” ed è andato avanti per la sua strada che, non solo da oggi, vuole dire tradizione musicale americana. Senza farsi le budella d’oro come i Raoul Casadei (a proposito chi è lo vuole trasformare in un grande artista?) di Nashville ovviamente, perché la sua è una strada oscura ed accidentata e per niente lastricata di buone intenzioni, anche se porta sicuramente all’inferno visto che il primo brano porta la firma di tal J. L. Pierce, che ovviamente non sto a dirvi chi è. Tra un traditional ed un brano di Tim Hardin, da uno come lui ci si aspetta sempre tantissimo ed il rischio di restare delusi è grande, ma la forza che mette in queste canzoni è quasi commovente.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

LEFTFIELD "Rhythm and stealth" - Sony

Tutto qui? Ci sarebbe da chiedere, perché tutti questi anni di attesa sono stati troppi veramente e neanche se ci avessero consegnato una sorta di sergente pepper o di chissà quale altro alchemico capolavoro, forse saremmo rimasti soddisfatti. Troppa acqua è passata sotto i ponti e quello che ieri era l’avanguardia è stata scavalcata a sinistra da un mucchio di musicisti ed oggi c’è poco da sorprendersi in questi solchi. Bel lavoro sicuramente (e con 26280 ore a disposizione vorrei anche vedere…) con i soliti guests che vanno dalla storia con la esse maiuscola di Afrika Bambaata (che l’abbia raccomandato Lydon?) al guaglione degli Almamegretta, ma niente che ci consenta di gridare al miracolo, almeno questa volta.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

KORN "Issues" - Epic

Molti hanno smesso di amare i Korn, o non li hanno amati perché si sono dimostrati da subito un gruppo di straordinario successo. Meglio parteggiare per i Machine Head che restano un gruppo di culto, anche se infinitamente meno talentuosi. Certo i Korn di oggi sono meno sorprendenti che all’esordio e si trovano sulle spalle anche una serie di figli illegittimi che neppure volevano, ma restano tra i pochi capaci di colpire con questa intensità. Lungi dal fare la fine dei Therapy? si sono notevolmente affinati, senza perdere però un briciolo di quella forza che li ha fatti diventare una delle band americane più importanti degli ultimi anni. Ci omaggiano anche di un grazioso cd con remixes e brani live, li ringraziamo, ma la prossima volta lo regalino ai loro cuginetti, perché di cacate stracotte come quella non sappiamo che farcene.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

CLASH "From here to eternity" - Sony

Anni fa un Dylan tutt’altro che santificato, interrogato sul perché non si facesse sponsorizzare i tour dichiarò: “Quando lo faranno i Clash, lo farò anch’io” quell’altro ragazzino di Neil Young invece spinto a dire la sua sull’ennesima paventata riunione di CSN&Y, più o meno nello stesso periodo, sbottava: “Preferirei suonare nei Clash”. Grande gruppo i Clash, una band di cui oggi si sente la mancanza, in un mondo dove tutti sono sponsorizzati e che, orrore, le cariatidi di vudstocc filano in classifica al pari dei Korn o Limp Bizkit (e ce sta pure Tom Jones). Si sente la mancanza di loro anche se in barba anche alla loro coerenza a suo tempo dichiararono: “Non faremo mai album live!!”…ed eccotelo qua, ma questa volta han fatto bene. Da qui all’eternità ci commuoveremo con questi quattro cazzoni che aprivano i tour americani con “I’m so bored of USA” e mischiavano musiche bianche e nere già più di vent’anni fa. E coloro che hanno conosciuto il punk solo grazie ai Green Day, si chiederanno dopo: “…ma chi sono i Green Day?”
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

BRUTAL TRUTH "Goodbye cruel world" - Relapse

Se ne va l’anno, il secolo e forse il millennio, ma se ne vanno anche i Brutal Truth che titolano la loro ultima opera con una certa retorica, ma a noi la retorica in fondo è sempre piaciuta. In questi anni hanno tenuto alta la bandiera di un musica estrema tesa alla sperimentazione che non era però violenza griffata, come tanti satanisti da copertina, ma vera esperienza del male di vivere che circonda la nostra epoca, tanto per stare nel campo della retorica. Live fiume questo, che straripa dalla voglia di dire. Si sono fermati forse per non diventare anche loro dei buffoni di corte ed anche per questo li ammiriamo.
"da Jammai nr. 32 - 11/99"

BLONDIE "No exit" - BMG

In questi anni di infame ed estenuante recupero degli eighties, ad un certo punto i Blondie devono aver detto: “Ma gli anni 80 siamo noi!”. Il che ovviamente non è vero, ma quanti fra noi, ai tempi di “Heart of glass” fra i tredici ed i sedici anni, si sono masturbati all’idea di metterlo fra le cosce della sontuosa Debbie Harry. Il tempo, si sa, passa ed oggi la biondona è una signora di cinquant’anni che ha recuperato la forma (piangeva il cuore nel vederla sfatta ed abbruttita nel lancinante e bellissimo film “Dolly’s Restaurant”), ma davanti alla quale dobbiamo sempre toglierci il cappello (quante starlettine ridicole di oggi, lovette, imbrugliette o morisette che siano, sacrificherebbero la propria carriera per stare vicino all’uomo malato che amano?). Questo disco non suona come quello che avremmo sognato, ma ci piace lo stesso. Bentornati. Con affetto.
"da Jammai nr. 29 - 05/99"

FATBOY SLIM "You've come a long way, baby" - Skint/Epic

Una volta si diceva: “Ad ognuno il suo lavoro, gli ignoranti alla carriola”. Sparito purtroppo l’arcaico veicolo che accompagnava la vita dei muratori e dei forzati nei film degli anni 30, si sarebbe potuta sostituire la carriola con la voce giradischi. Così oggi ci troviamo tante braccia degne di un bel lavoro sudato che restano inerti, oppure smanettano dietro ai dischi più improbabili. Gente che poi va in giro a cianciare sul suono del futuro. Il mondo è bello per questo: un giorno sei emigrato in Germania, poi finisci a fare il giudice e va a finire che diventi pure senatore…. Fatboy Slim, incerto già nel nome, non ci da’ sicurezze, ma soprattutto non è neanche sfrontato, va in giro a raccontare (come se fosse un vanto…) che faceva parte degli Housemartins, ma forse non è vero. Del resto se questa è musica, allora è vero tutto.
"da Jammai nr. 29 - 05/99

PROPELLERHEADS "Extented play" - Wall of Sound

Non vinceranno i Grammy i Propellerheads, ma sicuramente un premio gli ecologisti glielo devono: sono i più grandi riciclatori di rifiuti musicali degli ultimi dieci anni. Degni profeti di questi anni senza idee e senza volto, capaci di citare qualsiasi influenza e di buttarla in un disco così come viene loro in mente e soprattutto abili nel resuscitare veri e propri “morti”, almeno nella coscienze collettive. L’ex-voce dei film bondiani ieri, ex-rappers di razza oggi. Che fare? Complimentarsi? Sputargli? Fate voi, a me sono simpatici ed il brano con i fratelli della giungla è notevole.
"da Jammai nr. 29 - 05/99"

U.N.K.L.E. "Psyence Fiction" - Mo Wax

Bel gruppo gli Z.I.O., oddìo gruppo per modo di dire… Una volta formavi una band e ti trovavi il chitarrista smanettone, che non smetteva di fare il taping neanche se gli sparavi, poi c’era il tastierista odioso “che-è-il-jazz-la-vera-musica”, il chitarrista più introverso e più scarso che passava al basso e poi c’era da diventar cretini a trovare un batterista. Oggi non è così. Vai in un negozio di tostapani (sarà questo il plurale?) e ti compri un bel computer, poi vai in una ferramenta e trovi il programma giusto. Infine in edicola troverai i dischi giusti da campionare e, se li tengono ancora, ti procuri pure un giornale musicale per sapere qual è il trend del momento. Chiami un amico che sappia dov’è l’interruttore ed ecco formata la band! Anche voi potreste essere sulle pagine di tutte le riviste specializzati. Ma state attenti se volete cazzeggiare, vi prenderanno tutti sul serio, ma se volete scrivere canzoni vere, serve altro. Gli UNKLE ce l’hanno, aspettiamo conferme.

SUNNY DEAL REAL ESTATE "How it feels to be something on" - Sub Pop

Quando si sente parlare di Seattle è normale drizzare le orecchie, anche se una volta arrivavano simpatici capelloni con camicioni e chitarroni, mentre oggi c’è questo tizio antipatico con l’aria da primo della classe, che ha pure fatto un mucchio “de sordi”, le cui gesta ci vengono riportate giorno per giorno, con grande enfasi, come se veramente la nostra vita dipendesse da questo signore che ha inventato (anzi, non è stato nemmeno lui…) quattro finestre colorate. Forse è per questo che i S.D.R.E. sono così immalinconiti; perché suonano bene, ma con lo spirito di quattro ragionieri brianzoli a fine giornata. Ecco perché ci consegnano un disco a tratti anche interessante, ma che non riesce a lasciare tracce consistenti. Hanno una strana malinconia addosso, ma non è né spleen esistenziale, né ennui che prelude alla rabbia finale, forse è perché non se li fila nessuna, mentre se si accompagnano ad un Dave Grohl qualsiasi…
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

SOPHIA "The infinite circle" - The Flower Shop

Quando acquistate un disco dei Sophia, sapete già che cosa ci troverete dentro. Robin Proper-Shepperd, solista per caso, trova sempre però armonie e parole nuove per scandagliare la sua/nostra tristezza. Album meno essenziale del precedente, forse anche meno doloroso e molto vicino ai capolavori marchiati God Machine, ma sicuramente per amanti strettissimi e, se non fosse troppo snobistico dirlo, per pochi intimi. Del resto come giudicare un lavoro, quando il primo brano s’intitola “Senza direzione”?
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

MINERAL "End serenading" - Crank!

Con un nome del genere credevo che i Mineral facessero “stoner” rock (Ah! Ah! Ah! Humour!) oppure, leggendo il marchietto Crank, mi potevo trovare davanti all’ennesimo gruppo del più grande bluff degli ultimi 5 anni, Ulivo e Ronaldo a parte, cioè il cosiddetto “post-rock”. Eccoci invece davanti ad intense e mielose ballate, con qualche ideuzza tardo grunge, credo non cercata. I Mineral ad alcuni non piacciono perché troppo melensi, ai più sono sconosciuti, io invece li trovo molto interessanti.
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

KRUDER & DORFMEISTER "The K&D Sessions" - Studio K7/Audioglobe

Difficile fidarsi di due che si chiamano così, ma l’arte del remix, ancor più del mondo della musica non conosce confini e soprattutto, manda sulle prime pagine delle riviste nazioni note per tutt’altre cose. Ecco dunque che i belgi non sono solo pedofili, i giapponesi non lavorano e basta ed oggi anche gli austriaci, che finora ci avevano dato buoni dolci, belle montagne e Romy Schneider, portano alla ribalta questi pallidoni che lavorano al giradischi come Samantha Fox (l’attrice!) lavorava con la bocca. Intendiamoci l’ascolto per intero può provocare fastidi, ma sicuramente entrati nell’onda mentale dei due ci si appassiona. Niente di sconvolgente, ma a me è venuto in mente un altro lavoro “riassuntivo”: i “Basement Tapes” di Mr. Zimmermann (altro cognome teutonico, guarda caso…) Forse è questo il folk-rock del nuovo millennio.
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

KARATE "The bed is in the ocean" - Southern/Wide

La musica di un gruppo chiamato Karate, poteva essere una specie di io-ti-spiezzo-in-due, degno di grinders e metal kids vari ed invece ci troviamo di fronte a operine minimali che di questi tempi sono molto di moda (anche se è una moda un po’ stantìa…). Non sono assolutamente necessari i Karate, ma possono farvi trascorrere un pomeriggio allegro e di questi tempi, con Clinton che, costretto dagli scandali a tenere a bada il “pippo” e a secco anche con la giustamente incazzata Hillary che non gliela vuole più dare, deve sfogare i suoi istinti, confondendo il bombare con il bombardare, credetemi non è cosa da poco.
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

DINOSAUR JR. "In session" - BBC Music/Strange Fruit /// FLAMING LIPS "1984-90" - Restless

Notizie di un altro mondo, di un’altra epoca che sembra lontanissima ed invece era l’altro ieri. Non tanto perché eravamo più giovani, ma soprattutto perché c’era un’attitudine diversa e la musica di valore, aveva veramente un valore. Ascoltare per credere, quanti post-rockers ci vogliono per un “labbro fiammante”, quanta incendiaria inventiva c’era in queste band, ma soprattutto dove è andata a finire? Possibile che dobbiamo rimanere in ostaggio di digiei, musica da cocktail e metallo monocorde? Ascoltare per credere e, facendosi lacerare dalla voce di Mascis, ascoltare per ricordare… che una volta eravamo vivi.
"da Jammai nr. 28 - 03/99"

SPARKLEHORSE "Good morning spider" - EMI

Sarà la confusione di fine secolo, ma qui si capisce veramente poco… Prendete questi Sparklehorse: che tipo di musica fanno? A che scuola appartengono? Senza andare a guardare la carta d’identità, da dove vengono? E’ inutile, in pieno accordo con Lars Von Trier ed il suo Dogma 95, molte band hanno dichiarato la morte del “genere”. Solo che se da una parte è giusto, cadono le frontiere dei capitali, vengono infrante le ultime barriere del sesso, cessano i limiti del gusto, perché ci dovremmo dividere ancora fra mod e rockers, da un’altra parte si chiederebbe anche qualche certezza in più e questi Sparklehorse mi entusiasmano poco.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

SYSTEM OF A DOWN "SOAD" - Columbia

SPINESHANK “Strictly diesel” - Roadrunner
PULKAS “Greed” - Earache
NAPALM DEATH “Words from the exit wound” - Earache

Metallo, non metallo… direbbe un gruppo italiano che una volta abbiamo anche apprezzato e che subito ci ha puniti, rifilandoci prove mediocri ed un’arroganza da far sembrare il Cassius Clay dei tempi d’oro una specie di cardinale Martini. Comunque dimenticando i nefasti di casa nostra c’è da dire che c’è musica nuova nella cucina dell’inferno. Gli Spineshank ci mettono della buona volontà, ma nell’ormai vastissimo oceano del metal industriale arrivano tardino. Suonano bene, sono godibili, ma sembrano i Fear Factory dei poveri ed il loro brano migliore è una cover beatlesiana e questo la dice lunga su quanto quella musica sia ancora attuale. I Pulkas sono più classici, ma sono un gradino più in alto, sono violenti, puliti e precisi come il genere richiede, ma a differenza di altri, non stancano affatto, anzi ascoltandoli si avverte una benefica scossa elettrica alla spina dorsale. Più su ancora stanno i SOAD, band metal dalla attitudine punk (occhio… non hardcore…) il cui cantante sembra un incrocio fra il figlio di J. Biafra e della sorella di J Lydon (sempre che ne abbia una). Hanno anche una loro teoria sulle sorti della terra e parlano pure di rivoluzione. E’ arrivato il tempo di un bertinotti-metal? Comunque un gruppo su cui puntare per gli anni 2000. …e quelle vecchie canaglie dei Napalm Death? Prossimi alla pensione secondo alcuni, geni da rivalutare secondo altri; come al solito non ci prende nessuno, a parte noi ovviamente, che vi diciamo: grande band, indubbiamente.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

SPIRITUALIZED "Royal Albert Hall Live" - BMG

La foto di copertina è esplicativa: vista della Royal Albert Hall dall’alto; si desume quindi che i nostri amici stiano ancora fluttuando nello spazio. A dire il vero sembrano più che altro naviganti nel passato con un classico del rock antico: un doppio dal vivo, registrato in un tempio sacro degli anni che furono e con un titolo proprio da disco dal vivo. Il risultato però è portentoso: lunga durata e mai un attimo di noia (cosa che dell’ultimo album non si può dire). Gli Spiritualized più che riprendere a piene mani l’esperienza Spaceman 3, suona come avrebbero potuto suonare i Pink Floyd negli anni 70 se non fossero stati infettati dal virus imbecil-sinfonico, ma con un’attitudine molto moderna. Un disco da avere e consumare, anche solo per la conclusiva cover di “Happy day” che finisce sparata nella storia del rock.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

JON SPENCER BLUES EXPLOSION "Acme" - Mute/BMG

Non sono uno di quelli che considera Spencer un genio, ma sono uno di quelli che considera dei dementi quelli che considerano Spencer un genio. Il più importante mensile musicale alternativo (alternativo?) italiano ha votato “Acme” (che con i brufoli non c’entra nulla) disco dell’anno e poi gli stessi si chiedono come mai da noi il rock sia così arretrato. Niente di personale con l’amico Jon, che da poco è diventato babbo, ma molto contro coloro che credono noi dei “babbi” spacciandoci questa come la migliore delle musiche possibili. Il disco invero è godibile, ma nulla di trascendentale, se non in quei momenti in cui ricorda i Television, quello vero gruppo rivoluzionario…..
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

R.E.M. "Up" - WB

Una delle cose che si potevano chiedere a Babbo Natale era di riavere i REM di una volta, ma nessuno crede al simpatico vecchietto a parte me e pochi altri, così a sorpresa sotto l’albero ci siamo trovati, se non un fratello di “Green” o “Document” (“Sono magico, ma non sono Dio” mi ha detto il guidatore di renne) un disco decisamente piacevole e coraggioso. Sarà stata la vicinanza della morte, che ha sfiorato il batterista provocandogli uno “sciopone”, come si dice dalle mie parti, o che è stata, almeno nelle chiacchiere, compagna di viaggio di Stipe, dato per malato terminale più volte (certo, l’ultimo look alla Nosferatu e l’intima amicizia con mrs Love, che è stata la donna di Cobain, Buckley e del Cope prossimo all’internamento e che quindi porta più sfiga di una Prinz Verde carica di suore che ascoltano un nastro di Mia Martini, non devono aver giovato al suo karma…); oppure la stanchezza di essere ormai una multinazionale in odore di udue. Resta il fatto che finalmente, dopo ci troviamo con un album ascoltabile dall’inizio alla fine. Non badate alle cazzate che raccontano (i Beach Boys sono il più grande gruppo del mondo…) sono fuori di testa e forse, a loro sempre così controllati, lasciarsi andare un po’ fa sicuramente bene… ed anche a noi.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PORTISHEAD "Roseland NYC live" - Go!Beat/London

Il Bristol sound, o musica della pennichella, come la definiscono altri, è già alla ricerca di nuove suggestioni, così eccoli approdare i Portishead in terra americana con una simpatica orchestrina. La prima cosa che si nota però, è proprio l’assenza dell’orchestra, o meglio quanto poco essa influenzi la musica dei nostri eroi. Infatti oggi, diversamente dai tempi tragicomici di Deep Purple ed Emerson L. & P., non servono decine di professori attempati con tanto di controfagotto o viola d’amore per dare “pienezza di suono”, ma anche un idraulico con la terza media ed un campionatore può mettersi al posto di Maazel e dirigere la sua orchestra da cento elementi. I bristoliani (o bristo-lesi?) invece credono che il cuore sia tutto e così han pensato bene di inserire veri archi e veri fiati, anche se la mattatrice della serata, ancora più della splendida voce femminile è proprio lei, la chitarra elettrica, quella che tutti i digiei di questo mondo non riusciranno mai ad ammazzare.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PLACEBO "Without you I'm nothing" - Hut/Virgin

“Senza di te non sono nulla” Bellissimo titolo per questo album dei Placebo. A chi lo avranno sentito dire ? A Silvio, riferito a Bettino ; o ultimamente a Massimo riferito a Francesco ? Un titolo spassionato, come non se ne sentivano da tempo ed anche la musica è figlia di un decaderomanticismo oggi tornato di moda. Lungi però dal trovarci di fronte alla versione musicale del melò de “Le onde del destino”, questi efebici nerovestiti, inventano la grunge-wave, ma plagiando spesso, come tanti, i Cure ed i Joy Division, solo che lo fanno meglio di altri.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

METALLICA "Garage Inc." - Vertigo

Bella vita fanno i signori del metallo, nonché signori delle charts. Ogni tanto se ne escono con un dischetto, sempre gradevole, ma degno del principio economico MRMS, cioè Massimo Risultato con il Minimo Sforzo. Oggi riciclano il già riciclato, prendendosi così anche l’applauso dei verdi e si presentano con un vecchio album di cover assai ampliato. Chi si era perso l’originale è avvantaggiato, ma tutti, e non solo i metal kids, dovrebbero mettere le mani su questo doppio cd, per vedere come i quattro Cavalieri (che per fortuna loro non hanno ville con giardino zoologico ad Arcore) prendono il repertorio altrui di qualsiasi tipo, dall’hardcore militante dei Discharge, al blue collar rock di B. Seger, dal metal demoniaco dei Mercyful Fate, fino agli stra-classici sabbathiani e del simpatico Lemmy & co., e lo fanno loro fino al punto di poter pensare che di quelle canzoni siano proprio gli autori. 65+70 minuti di autentico spasso e di questi tempi è cosa rara.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

MARK LANEGAN "Scraps at midnight" - Sub Pop

Attendevo con ansia questo nuovo album di Lanegan, mai abbastanza lodato cantante solista e voce degli Screaming Trees, band già di per sé mai lodata abbastanza. Lo attendevo come si attendono quelle cose in grado di darci nuova linfa vitale, anche se “vitale” non è forse la parola giusta per Lanegan. Devo dire che sono rimasto un po’ deluso ed anche se mi fa piacere che qualche rivista, che generalmente sbaglia cavalli su cui puntare, lo abbia nominato disco dell’anno, non posso fare a meno di annotare che un’impronta marcatamente più “americana” non gli ha giovato. Un bel disco, ma il meno bello dei suoi solisti.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

PJ HARVEY "Is this desire?" - Island /// HOLE "Celebrity skin" - Geffen

Polly non parla quasi mai, è timida. La Vedova Allegra invece ha la bocca sempre piena di parole oltre che di quegli attrezzi che in un mondo terribilmente maschilista come quello dello spettacolo (che lei dice di odiare) servono alle starlettine senza qualità come lei per risalire la china della notorietà. Qui ci troviamo di fronte a due opere speculari del rock di fin du siècle : un capolavoro ed una porcheria ; o se vogliamo : un lavoro alto ed un lavoro basso (tanto per stare in zona Lewinsky). Inutile disquisire sulle differenze tra le due signorine, più che altro vale la pena di notare come il crimine non paghi e che rubare le pagine di novella 3000 (ma non era 2000, una volta?) non serve per far scrivere il proprio nome sul grande libro della storia del rock. La differenza fra un’artista vera ed una baldracca senza talento sta tutta lì.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

BECK "Mutations" - Geffen

Sorpresa: un disco di Beck bello! Un disco di Beck che si riesce ad ascoltare dall’inizio alla fine! Grande gaudio, perché finalmente non mi sento più un deficiente, visto che tutti lo dipingevano come un genio ed a me faceva semplicemente esplodere i testicoli dopo un quarto d’ora! Queste “mutazioni” miglior titolo non lo potevano avere, perché ci troviamo di fronte ad autentici freaks musicali, dove tutta la cultura musicale americana viene presa, ribaltata, sezionata e mischiata, senza però le gigionerie noiose di altri album. Il buon Hansen infatti pensava di farne un’uscita indipendente, ma la Geffen gli ha dato l’alt, dimostrando quanto a volte le majors, spesso prese per il culo, abbiano migliori intuizioni degli artisti. Divertitevi: fra country, cha cha cha e gospel viene fuori un disco glam che, guarda caso, è il trend prossimo venturo….
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

ALTAMONT "Civil war fantasy" - Man's Ruin /// QUEENS OF STONE AGE "Q.O.S.A" - Man's Ruin

Sapete quanto io ami poco i revaivals, o meglio non sopporto quando, nei corsi e ricorsi della musica rock, qualcuno lucida qualche vecchio archibugio annerito dal tempo e lo spaccia per un fucile automatico nuovo di pacca. C’è una bella differenza tra la rivisitazione, la rivitalizzazione e la ricreazione (che non c’entra un cazzo, ma mi piaceva e ce l’ho infilata lo stesso) e questo lo sanno anche i tamarrissimi Altamont, che con un nome del genere non si potevano certo mettere a fare della new age. La loro fantasia da guerra civile la dice lunga sulle loro intenzioni. Ruvidissimo r’n’r con virate psichedeliche, un disco consigliatissimo, direbbero le riviste del settore. Leggermente deludenti i Kyuss-meno-uno, che ripropongono le melodie della casa madre, ma con una fase di appanamento, forse solo momentanea.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"

AFGHAN WHIGS "1965" - Columbia

Si dice che il titolo sia nient’altro che l’anno di nascita di Dulli, ma per la cosa provo la stessa emozione e curiosità che mi suscita la nascita dell’Euro, (in poche parole: non me ne frega un cazzo…). La cosa importante è che il caro Gregg, insieme alla sua spocchia, o introversione dicono altri, che così tanto entusiasmo suscita in Pennello, non ha perso il suo smalto di compositore. Qualcuno ha parlato male del precedente “Black love”, ma non era in buona fede, soprattutto se invece ha trovato egregio questo “1965”, perché fra i due non ci sono grosse differenze. Non parliamo di pietre miliari, ma di una delle tante strade che il rock americano dovrebbe imboccare per evitare le secche creative di questi ultimi anni e vedere se, finalmente, succede qualcosa di nuovo.
"da Jammai nr. 27 - 01/99"