ITALIA?! FORZA....

AREA “Chernobyl 7991” - Sony
BLUVERTIGO “Metallo non metallo” - Mescal/Sony
CRISTINA DONA’ “Tregua” - Mescal/Mercury
GRANDE OMI “Il Grande Omi” - CPI/Mercury
LA CRUS “Dentro me” - Mescal/WEA
LUCIFERME “Luciferme” - CPI
MASSIMO VOLUME “Da qui” Mescal/Polygram
NEGRITA “XXX” - Blackout
SANTO NIENTE “Santo Niente” - CPI
TIMORIA “Eta Beta” - Polydor
Tutti parlano degli Stati Uniti come terra promessa del rock, ma in verità a loro non è che vada meglio, visto che agli ultimi Grammy, un mentecatto quale Eric Clapton è stato eletto musicista dell’anno. Ricordiamo a chi si fosse sintonizzato solo ora sulle onde di Jammai, che il signor Manolenta è, insieme a Elton John e Prince, l’artista preferito dagli stilisti, proprio perché il suo nulla musicale è adatto al vuoto delle vanità più raffinate. Basterà rimembrare che le cose migliori dei Cream erano di Jack Bruce, che “Cocaine” è di J.J.Cale e che l’altro splendido hit “Layla”, deve sì la sua forza ad un riff di chitarra, ma ad opera del grande (lui sì) Duane Allman. Perché mi dilungo sull’ex marito di Lori Del Santo ? E’ semplice : per ritardare il più possibile di commentare le miserie nazionali, ma visto che mi è venuta l’idea, è ora che mi butti. Partiamo dalla Donà che, si dice, cantautrice dal grande avvenire. Lo si è detto anche della Consoli, che invece spappola i coglioni, ma con questa giovane va leggermente meglio. Il suo modello, checchè se ne dica, è P.J.Harvey, quindi una battaglia persa in partenza, anche perché le canzoni migliori sono quelle più melodiche, quelle più vicine, guarda caso, alla tradizione italiana. Quindi il rock lasciatelo a chi lo sa fare... come i Negrita ad esempio, che conoscono alla perfezione una canzone sola e la ripetono di continuo. Sono i Black Crowes della Garfagnana, ma detto da me non è un complimento. Ci vorrebbe H.G.Wells con la sua macchina del tempo, li spediremmo indietro di trent’anni, così sarebbero contenti loro e pure noi. Sempre dal passato pescano i La Crus che inspiegabilmente mandano in visibilio critici e giurie di tutti i premi (pensi che manchi loro solo il Telegatto, ma prima o poi...), anche questo disco va a pescare da Tenco, bla bla bla, dalla scuola di Genova, bla bla bla, Ciampi, gulp ! (calmi, non il ministro !), i campionamenti, Bristol-sound più Conte etc. etc. Tanto rumore per nulla, direbbe il Bardo, o meglio, per poco, visto che le prime due canzoni sono proprio belle, tra le migliori ascoltate negli ultimi tempi, poi il disco si perde in tutta una serie di cazzeggi elettronico-cantautoriali che annoiano smisuratamente. “Ennui” anche per i Massimo Volume, ma in grande stile. Ho sottomano sia il disco che il libro di Clementi e non è che ci sia una gran differenza. Storie di straordinaria ordinarietà o viceversa, che colpiscono, ma non sconvolgono. A differenza di altri, credo che siano le parti musicali le cose più belle. Il sound dei M.V. è unico, però questo è il terzo disco fatto nella stessa maniera e l’esistenzialismo sta cedendo il passo allo sbadiglio. Non c’è da esaltarsi neanche per i loro amici Santo Niente, che hanno perso Umberto Palazzo nella sigla, ma non nella sostanza, visto che fa sentire tutto il suo peso con le consuete alchimie psichedeliche del Tavoliere. Le note portano ai Sonic Youth le liriche parlano di “scimmia sulla schiena”. Nessuna delle due cose è una novità. Se però vogliamo crogiolarci come maiali nel letame del revival, possiamo farlo con Il Grande Omi e Luciferme. I primi ci piazzano la solita pizza a base di carciofini e sound-alternativo anni ottanta. I secondi invece, potrebbero chiamarsi Lucispente visto che dalla loro musica non s’intravede la minima scintilla vitale, pescando così a piene mani dallo stesso decennio il sinfonismo ottuso di Jim Kerr e soci. Strana cosa : Maroccolo oggi supervisiona o produce roba che dieci anni fa non si sarebbe mai sognato di suonare. L’unica nota vagamente positiva arriva dai Bluvertigo, che non saranno forse il futuro del rock nazionale, ma che almeno riescono a comporre brani decenti, anche se più commerciali di altri ed ad arrangiarli molto bene, soprattutto nell’uso della tecnologia, che per molti è solo un riempitivo da inserire “sennò non si è moderni” . C’è ancora qualcosa da rivedere (soprattutto i testi, che palle !), ma in futuro potrebbero riservare qualche sorpresa piacevole. Chi un futuro, secondo me non l’ha mai avuto, sono i Timoria, per cui il dizionario non riporta termini sufficientemente negativi per parlarne. Tempo fa un giornalista sosteneva che se a Sanremo ci fossero stati loro.... sarebbe stato il solito Festival, aggiungo io ; perché non c’è alcuna differenza fra la merda della Oxa (almeno lei è una grande interprete...) ed i loro aborti a volte progressive, a volte metal, a volte crossover. Ed è anche ora che la smettano di riempirsi la bocca con citazioni di Ciampi (sempre lui, non il ministro) e Stratos. A proposito del grande greco (quanto ci manchi, tu non ti immagini quanto...) chiudiamo sulle dolenti note degli Area. Li ho inseriti perché molti si dicono ispirati da loro, ma finora la loro eredità resta vagante. Parlo però di “quegli” Area, perché questi non c’entrano niente. Ora è Capiozzo il motore della band e fa ridere, perché sarebbe come se si riformassero i Beatles con solo Ringo Starr. Purtroppo la musica è un’infinita rottura di cazzo che non porta nulla di nuovo, ma che non è neanche un sano esercizio di stile. E’ solo merdosa fusion per nostalgici del Parco Lambro, che oggi sono seriosi ministri o direttori di qualche tg. Discorso finale (soprattutto per le etichette) alcuni dei prodotti sopracitati, con qualche sforzo, potrebbero arricchire le nostre discografie, ma mai e dico mai, neanche per il figlio dell’Agha Khan, vale la pena di spendere trentaseicartedamille per uno di questi compact. Dite che il mercato è in crisi ? Cazzi vostri.
"da Jammai nr. 18/19 - 07-09/97

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